Weedsconsin: il titolo è già un programma. Ci informa sulla provenienza geografica inoltre.
Ma riavvolgiamo il nastro: eravamo rimasti ad Amerijuanican nell'ormai lontano 2005 e poi più nulla. Magma, Spanky e Muleboy avevano messo a nanna la loro creatura, all'epoca c'era pure Dave Collins al basso tra l'altro, prima che si sparasse ad un piede, pare abbia nove dita ora.
Niente più riffoni lisergici dal sapore blues quindi, niente più batteria in controtempo, niente più voce acidissima e cantilenante. Accipigna, come si fa?
Poi qualcosa si muove, il gruppo sembra riprendere attività, qualche concerto qua e là, una foto promozionale in cui abbracciano un koala, strafatto ovviamente, che teneri animali questi ultimi, sempre in botta da eucalipto!
Ed ecco che il 20 aprile 2021 esce il nuovo album, copertina con demonico drago tutto verde che troneggia in mezzo a fumi ugualmente verdi, il fratello fattone di Shenlong che al posto di sfere magiche in mano tiene qualcos'altro.
E parte la musica: la prima traccia pare un po' timida, non ha voglia di stupire, il nostro power trio va avanti con calma, senza fretta, non c'è nulla da dimostrare. Sono stati in letargo tanti anni, nel frattempo sono spuntati parecchi gruppi chiamati Bongqualcosa o Qualcosabong, una valanga di cloni con tanta voglia ma poca ispirazione. Di inspirazione invece i Bongzilla ne hanno sempre avuta ed ora che il nostro godzillone preferito col bong in mano ha ripreso a camminare si capisce subito chi sta in cima alla piramide narcolettica. L'album procede sempre calmo e tranquillo, ma è una calma consapevole ed autorevole, non c'è più voglia di strafare, di sbottare di brutto, il cazzeggio resta sempre, ma è tutto più rilassato. La musica trasmette sensazioni calde e solari, più da campo all'aperto che da cantina con gli impianti al neon, sembrano quasi la versione Acrimony dei vecchi Bongzilla. Ed è così che incominciano a far capolino sezioni space rock (una canzone è intitolata proprio Space Rock), influenze tribali, lunghe sezioni strumentali, che saranno ben accolte da chi disprezza un cantato sì soave, ed un suono molto anni settanta che richiama (ovviamente) i Black Sabbath. Sembra sia questa la strada che hanno scelto i nomi grossi per invecchiare, chiedete a Jus Oborn ad esempio.
In fondo questo genere di musica non ha tempo, non invecchia mai a patto di regalare all'ascoltatore il mood giusto. I Bongzilla lo hanno sempre fatto.
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