Un disco semplice. Un disco sereno, con molte canzoni che inneggiano ai piaceri della vita e della carne, anche. Quella stessa carne da cui, del resto, la vita nasce e si rinnova. E forse il secondo disco che, nel 2001, Will Oldham firma con il moniker di Bonnie "Prince" Billy (dopo lo splendido - ed abissale - "I See A Darkness" del 1999) è davvero, semplicemente, l'altra faccia della medaglia, il lato fanciullesco, nell'anima di Will.
È come se quel dolore tremebondo e quell'incertezza esistenziale che ammorbano e nello stesso tempo sono linfa vitale ed ispiratrice in "I See A Darkness", qui si riconciliassero - in questo "Ease Down The Road" - in atmosfere più lievi, limpide e rasserenate. Come questo sole che riesce, a fatica, a vincere finalmente la nebbia del mattino, in questo "primo vere" che s'inizia. Ma sarà davvero poi così ? Ed è di serenità, l'impressione duratura che lascia questo disco dopo ripetuti ascolti ? Forse.
Certo, brani leggeri come il sorriso di un bimbo ce ne sono in questo album. Dall'opener "May It Always Be" sino al chorus allegro, da gita scolastica, quasi, di "Just to See My Holly Home". Dall'ironia mordace e puntuta di un brano come "Mrs William" sino ad una tenerissima ninna-nanna d'amore come "After I Made Love to You". Ma allora cosa è rimasto dell'anima di "I See A Darkness" in questo secondo disco di Bonnie "Prince" Billy ?
È rimasto molto, credo. Anche se è ben nascosto, più occulto e sfuggevole. Così, si va dall'atmosfera rarefatta e rachitica di un bozzetto musicale come "Careless Love", sino alla tenebrosa e dolcissima (sicuramente il miglior brano del disco) "A King at Night". Un brano, quest'ultimo, dove ricompare, seppur stemperato, quel filo conduttore della solitudine dell'uomo con se stesso (And here-ee look and see/All there is is me/This is how I start another day in my kingdom) che è tipico dei testi di Will. Una solitudine e uno sgomento che appaiono come un'ombra nel tramonto dopo i tenui tepori di un brano come "At Break of Day" (I hate myself when I'm alone/It's just with you I feel okay/And so tomorrow you'll fell sorrow/When I am gone at break of day). Sino ad assumere toni di tragica disperazione, di tortura interiore e di sanguigna corporalità in un brano come "Grand Dark Feeling of Emptiness". Un pezzo dai toni nerissimi e volgari (And now I am learning bit by bit/About the make and model shit/The muddy bowl I live in it/And all the mucks that tire us) che lascia sgomenti ad ogni ascolto per la sua spietata durezza, che solo negli ultimi versi si abbandona a un barlume, seppur tenue, di speranza. Un brano che si chiude con tre note di tastierina del tutto prive di senso, tre note che instillano ogni volta in chi ascolta un amaro senso di assurda imprevedibilità. Come certi destini nella vita. Inestricabili, semplicemente.
Un disco disomogeneo, insomma, ma non per questo meno prezioso. Un album da gustare poco a poco, che non si fa amare subito, forse. Ma che nasconde, dietro l'apparenza di un sorriso semplice, un'anima incredibilmente ricca e complessa. Un'anima che sa godere finalmente della serenità - e della felicità più limpida e pura - proprio perché forgiata, anno dopo anno, e canzone dopo canzone, nella dura officina del ramaio dolore.
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