Tra città e campagna c'è una dicotomia: un abisso.

Da una parte si ferisce il mondo, in tutti i modi in cui questo è possibile. Dall'altra ci si rifugia dal mondo: ci si fa minuscoli, si presta l'occhio, l'anima e un aiuto all'upupa ferita dalla grandinata; si vaga in un campo d'orzo al tramonto e ci si cura con il cammino e la fatica.

La pelle, in una città, si sporca: l'anima si rintana in un angolo, presa a pugni, la pupilla si dilata per un vago ed irrazionale senso di terrore e la solitudine dei campi viene spazzata via dall'isolamento, suo gemello grottesco e malvagio.

La città e le sue squallide periferie hanno generato gli Einstürzende Neubauten, i Throbbing Gristle, i Joy Division. Una genia di gruppi musicalmente diversi tra loro ma accomunati da uno strato profondo di rabbia, alienazione, depressione, dolore urbano.

Se devo pensare ad un artista generato da un campo lasciato a riposo, questi è senza dubbio Will Oldham.

"Lie Down in the Light" è un disco di tenera penombra, di tenue luce. La vena profonda a cui attinge Will è sempre la musica folk. Trasformata in inquieto capolavoro come in "You Remind Me of Something (The Glory Goes)" oppure offerta come omaggio a Shannon Stephens (la splendida "I'll be glad") Will lavora sulla musica con la calma e l'amore proprie di un vero artigiano.

Nel 2008 sono passati quasi dieci anni dal massimo capolavoro "I see a darkness": dieci, ma potrebbero essere settanta volte tanti.

Nel '99 Will sembrava perso in un tetro mondo di ombre, dove la redenzione sembrava distante quanto la sua voce e quanto gli scheletri che andava cantando (ricordate "Death to everyone"?).

"Lie down in the light" è opera di un uomo e di un artista che sembra aver lasciato entrare in sé una nuova inquietudine temperata da piccole gioie terrene, al posto dell'amarezza estrema e della disillusione degli anni passati; per quanto un viandante carico di troppe pietre non possa perderle tutte lungo il cammino.

"For every drought there is a rain"

La siccità non scompare mai: è l'eterna piaga che affligge terra, raccolto e uomo, che getta nella prostrazione e che elide il significato del giorno con la sua calura abbacinante.

La pioggia come una delle cure, totale come l'amore ma altrettanto rapida nell'esaurire la sua efficacia; la talpa, altra piaga dei raccolti, diventa metafora della cecità come altra cura contro i colpi del dolore casuale.

"For every field there is a mole
With the soil that he stole
And the sightlessness that lets him go free"

Non manca nulla a "Lie down in the Light" per essere definito un capolavoro. Canzoni, e niente più. Ma dotate di quel dono misterioso che Will Oldham è uno dei pochi in grado di infondere nella musica. "You want that picture" è la ballata folk-rock cantata con Ashley Webber (una voce perfetta, fragile e sincera come poche altre) che esemplifica il genio di Oldham e l'anima di questo disco: inutile ogni descrizione, e sufficiente un solo ascolto per amarla.

"But then I went outdoors
And I stood very still in the night
And I looked at the sky
And knew someday I'd die
And then everything would be all right"

Un'altra lacrima versata a terra dal principe. Ma sulla sua superficie stavolta si scorge un (fragile) sorriso.

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