L'equivoco principale a proposito dei Boredoms consiste nell'essere considerati un gruppo noise. Fatto che non è completamente esatto, se si considera il frullato di stili (fra gruppo principale e side projects) con i quali i nipponici si sono cimentati nel corso della loro carriera.

Ulteriore passaggio poco ortodosso (in un percorso artistico che ha fatto dell'eterodossia il suo credo) "Super Roots 6" è il quinto di una serie di dischi "completamente improvvisati" a detta del leader Yamatsuka Eye, e rappresenta una decisa svolta verso un approccio meno folle e più sperimentale. Le bizzarrie comunque non mancano, a cominciare dalla scelta di intitolare i brani con dei semplici numeri, non corrispondenti pero' con l'ordine delle canzoni. Ulteriore sconcerto arriva dalla musica, visto che i Boredoms di questo disco - se paragonati con quelli dei dischi precedenti - sono a dir poco irriconoscibili.

Il lavoro è avvolto in una austerità tale che sembra suonato da dei monaci buddisti, non fosse altro per il tono meditabondo della maggior parte delle composizioni. Dal delirante eclettismo degli esordi, si è passati ad un approccio minimale, esemplificato dall'estromissione tanto dei "gorgheggi" di Eye quanto delle dissonanze che sconvolgevano ogni idea di linearità. Emblematica è la scomparsa della dialettica fra i vari strumenti, dato che nella maggior parte dei brani è un unico strumento a portare avanti un "groove" o un surrogato di armonia. E' paradossalmente un disco poliedrico, in bilico fra funk acidissimo e silenzi ambient(ali), nenie percussive e organi krauti, techno ridotta ai minimi termini.

Questo è il genere di disco che renderebbe meno arduo il compito di presentare l'umanità agli extraterrestri, se venisse messo su una sonda spaziale. Forse.

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