Boris il nome.
Mi ricorda una volée di rovescio in tuffo sul finire degli anni ’80; quel biondo mangia crauti aveva poco più di 17 anni ed un prato ormai sfatto con una rete in mezzo lo consacrò al mondo. Arrogante, quasi irriverente, si prese tra lo stupore generale il trofeo più prestigioso ed il mio amore tennistico perenne. Mentre ripenso alla sua carriera lo sto già sfogliando. Il libro di quest’altro Boris, intendo. Mi trovo in una stanza che più che ad una sala di una libreria sembra un fottuto bunker della guerra fredda, solo che sugli scaffali invece di alimentari, bevande e coperte c‘è carta. Una montagna, per lo più inutile. Ma non sviamo.
Vian il cognome.
Se non è il più mingherlino della stanza, stretto senza criterio alcuno tra un orrido fantasy adolescenziale ed un mattone mai aperto, davvero poco ci manca. Eppure questo libercolo, così apparentemente esile ed innocuo, ha la capacità di stenderti: come un pugno di Tyson dei bei tempi cazzuti quando i suoi incontri duravano secondi. Una manciata di pagine sottili e spaziose.
Ho letto un paio di recensioni sul web e tutte partono sottolineando il fatto che quest’opera è, scegliete voi a caso un superlativo assoluto altisonante, per il fatto che è stata scritta in sole due settimane. Sarà un parere isolato il mio, ma il tempo che l’autore ci ha impiegato per partorire questi capitoli mi interessa quanto ricordare il risultato ed i marcatori di San Benedettese - Castel di Sangro di 13 anni fa. Poco. E se ha limato e corretto il tutto in 14 giorni e la sua scommessa l’ha pure vinta. Beh, sono contento per lui e posso pure rimanere impressionato dal talento e dalla florida vena creativa dimostrata, ma rimangono comunque cazzi suoi.
Un libro che rimane estremo ancora adesso, ad oltre 60 anni dalla sua pubblicazione. Picchia duro con il suo incedere deciso formato da capitoli brevi, crudi e sporchi sui quali si dipana la trama il cui perno è rappresentato dall’insaziabile e paziente cottura di una grossa fetta sanguinolenta di vendetta del protagonista. Lee è un negro; solo che ha la pelle chiara. Sorretti dalle descrizioni del testo, la potrete vedere chiaramente anche voi questa affabile e lattea faccia da angioletto nella quale si cela in realtà uno sporco negro che, travestito della pelle di un bianco dal fascino magnetico, comincia a tessere la sua tela per vendicare il fratello ucciso.
Non ha fretta Lee; ha tutto il tempo che vuole. Anzi, più i giorni si accumulano più riesce ad inserirsi meglio nella gioventù bruciata di un paesino inutile dove, tra le altre squisitezze, albergano pedofilia ed alcolismo: diversivi per ammazzare la noia imperante. Parte dal basso. Un po’ come quando si comincia a giocare ad un nuovo videogame. Al primo livello scoparsi ed avere la meglio sulle ragazzine ed i bulli locali gli provoca un piacere sufficiente, ma ben presto la routine del suo vivere bastardo lo spinge a cercare di alzare l’asticella. Entra progressivamente in un giro di conoscenze più altolocate e così, pascolando distrattamente nel salotto di un party borioso, trova la preda giusta. Le sue prede, perché di giovanissime gemelle di glaciale bellezza e di ottimo partito si tratta.
Pazientare ne è valsa proprio la pena. E’ questo quello che Lee pensa mentre comincia a costruire l’enorme impalcatura che porterà, lo ritiene ormai ovvio ed inevitabile, al loro innamoramento. E gode mentre questa, asse dopo asse, prende lentamente forma per poter finalmente chiudere quel cerchio rosso scuro apertosi con la morte del fratello.
Denso. “Sputerò sulle vostre tombe” è un libro levigato dell’inutile, scritto da una penna superiore e diretto come pochi altri ho avuto il piacere di leggere. In un noir violento, vendicativo e veloce una fotografia di una generazione al limite posta tra razzismo, alcool e pedofilia.
Leggendo il titolo, solare ed accomodante come pochi altri, era proprio quello che mi aspettavo quando mi sono addentrato nella prima pagina.
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