Chi conosce e segue i Borknagar dall'inizio della loro carriera ed è conscio della poliedrica, multiforme, venatura compositiva che li anima, certamente potrà affermare con sicurezza che, riguardo alle sperimentazioni sonore, alle esplorazioni avanguardistiche e di folclore, questi non sono secondi a nessuno, e a nessuno sembrano voler dare conto. E allora, ecco che tra le mani ci troviamo questo nuovo "Origin" che, tanto per dirlo subito, di peculiare ha l'essere un lavoro totalmente acustico ed orchestrale, e quindi, ne consegue, che nulla ha del Black e del Metal di fondo, che quasi sempre ha accompagnato la band sin dagli albori della propria palingenesi.
"Origin" è un prodotto sopraffino e raffinato, suonato e pensato in maniera talmente tanto ariosa e fantasiosa da risultare sconcertante. Nelle ombre che i suoni lasciano durante il dispiegarsi delle canzoni, si percepisce sempre e comunque il cosiddetto "mood" che ha fatto la fortuna dei Borknagar con il passare degli anni, e questo, alla fine, è l'unico punto di contatto che questo album ha con gli ottimi suoi precedenti.
Non bisogna mai dimenticare che quando si parla di questa band, si discute di personaggi del calibro di Øystein G. Brun, chitarrista preparato, serio, e soprattutto impegnato sino in fondo nel creare e plasmare la materia cosmica ed evanescente che i Borknagar partoriscono, e ancora, parliamo di Vintersorg, cuore pulsante di una direzione artistica che di scontato, lo si può dire forte, non ha proprio nulla, e chi lo conosce e lo segue già con i suoi "Vintersorg", appunto, o con gli "Otyg" sa bene di che pasta sia fatto, oppure, perché non citare anche Tyr, bassista talentuoso che molto deve alla scuola Black Sabbath e Seventies, e che è stato componente di pilastri del genere estremo scandinavo come Satyricon ed Emperor.
Capirete, dunque, che dietro simili premesse e garanzie, questo cd non possa che essere qualcosa di davvero, ma davvero, straordinario da qualsiasi punto di vista lo si voglia analizzare. E non è tanto per dire. Certo, magari i fans avrebbero meglio recepito un lavoro che, diciamo così, "investisse" sulla durezza e la pesantezza dei suoni ma, se si riescono a mettere da parte i preconcetti facili e l'ortodossia estrema a cui i Borknagar "sembra" appartengano, allora, spogliati da tutto quanto possa essere d'impedimento e d'ostacolo al piacere che un simile album può dare, si capisce bene perché, in molti già lo acclamino come indimenticabile e prezioso. Gli ingredienti ci sono tutti e vengono dispiegati a profusione: si passa con facilità dal folk triste e sommesso, quasi crepuscolare di "Earth Imagery" e di "Grains", alle orchestrazioni propriamente dette di "White" (a parere di chi scrive il miglior brano dell'intera opera) che per dare i brividi alla schiena sono una panacea formidabile. Ed ancora, sulle stesse coordinate ma contraddistinte da un variegato universo che si permea di cosmicità e di intimismo, "Cynosure" e "Acclimation", fino all'ultimo episodio "The Spirit of Nature" in cui, se si chiudono gli occhi, e se si è capaci di immedesimarsi in certi paesaggi ed in certe atmosfere, sembra quasi di trovarsi in mezzo a campi verdissimi, o lungo ruscelli di acqua limpidissima e fredda al tatto.
L'unica pecca, se così la vogliamo chiamare, la si trova in "Ocean Rise", un brano che già faceva parte di "The Archaic Course" e che ha sempre rappresentato un classico del repertorio, ma che qui, dato in versione acustica, non regge proprio il confronto con l'originale in quanto a ricercatezza e sensazioni. Certo, un confronto non si può fare, visto che adesso al microfono c'è Vintersorg che lo rilegge in una chiave diversa e drammatica rispetto a ICS Vortex (oggi nei Dimmu Borgir e negli Arcturus) che di suo aveva un piglio maggiormente aggressivo, seppur ispirato, al cantato.
Ma queste sono solo piccole, microscopiche smagliature in un album perfetto, come ho già ripetuto tanto in questa recensione, e che, per quanto riguarda tutto il resto, avvicina i Borknagar di oggi, alla levatura mastodontica ed irraggiungibile di band ben più blasonate, differenti, è giusto, ma a cui questi non debbono nulla chiedere e nulla invidiare; un esempio su tutti: gli Opeth.
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