L’arte, si sa, è cosa grandiosa, e pertanto anche la musica lo è. È bene, però, che l’artista che produce la propria opera sia all’altezza del compito a cui è chiamato, ossia lasciare nel cuore e nella memoria di chi entra in contatto con la creazione una sensazione forte, molto forte; quale sia questa sensazione, non devo certo starmene qui a dirlo io, sicché ognuno ha il proprio modo di approcciare un'opera artistica.
Ci vuole talento, tanto talento per non deludere certe attese, certe aspettative, certe speranze. E il talento, ahinoi, è, con ogni probabilità, una delle cose più iniquamente distribuite che esistano, e pertanto non tutti - purtroppo - possono ambire a offrire al Mondo una parte considerevole della propria persona (tale è un’opera d’arte).
Ora, immaginatevi se un disco, anziché essere scritto ed eseguito da un solo talento artistico, fosse opera di tre fuoriclasse, le quali, tramite un’intesa pressoché perfetta, riescono a dare vita ad una creazione sempre elegante, sempre raffinata e di notevole simbiosi artistica. Bene, tale è the record, LP di debutto delle Boygenius, trio indie-rock/indie-folk tutto statunitense che già, nel 2018, aveva pubblicato il riuscitissimo omonimo EP. Parliamo di tre artiste dal talento enorme e dalla creatività infinita, con alle spalle una carriera già ben consolidata e consacrata, nonostante l'età ancora giovane di tutte e tre (29 anni la più grande). Queste tre artiste sono pionieri del loro genere musicale, ossia l’indie; un indie che, però, assume colori e sfaccettature sempre diversi, quando si ha a che fare con Phoebe Bridgers (indiscussa regina del genere), Lucy Dacus e Julien Baker, le tre straordinarie musiciste di questo “supergruppo”.
Ed ecco che, come d’incanto, alle porte di aprile, nel 2023, viene pubblicato quest’album, così denso di materiale notevole e straordinariamente carico di intensità emotiva. La sensazione generale che attraversa l’album è quella di una malinconia riflessiva, che conduce a introspezione e, per l’appunto, riflessione. Le chitarre, infatti, siano esse elettriche o acustiche, costruiscono un’atmosfera colma di delicatezza e gentilezza, tale da rendere questo un disco perfetto da ascoltare di notte, isolati da tutto e tutti. Ciò che spicca, comunque, è soprattutto la solidità delle canzoni, dato che ognuna di esse presenta idee estremamente convincenti, unite ad un songwriting di primissimo livello. A coronamento di tutto, infine, abbiamo i testi, tipicamente indie, e che quindi affrontano tematiche molto personali, siano esse d’amore (come nella splendida e toccante "Emily I’m Sorry”), di crescita personale (vedasi “True Blue”, pezzo magnifico), o di incertezze personali (per esempio in “Satanist”, in cui Julien Baker si domanda se le sue compagne di band saranno disposte a starle vicina anche se, da un giorno all’altro, dovesse diventare satanista).
Ecco, dunque, il quadro perfetto per un disco che affascina in ogni sua canzone, e che propone dei momenti destinati a rimanere nell’animo di chi ascolta. Prendete, ad esempio, “Not Strong Enough”, pezzo clamoroso inaugurato da un semplice strumming di chitarra acustica, e impreziosito dalla splendida voce di quel genio musicale che è Phoebe Bridgers, e altresì dotato di un ritornello memorabile e delizioso; ma alle strofe si alternano tutte e tre le musiciste, ognuna dotata di una voce unica e perfettamente riconoscibile, anche quando le tre armonizzano, creando un effetto francamente sublime.
Stupisce continuamente la perfezione delle composizioni, sempre efficaci e centrate, e penso a pezzi come “Cool About It”, in cui un arrangiamento minimalista e delle armonizzazioni da brividi sono più che sufficienti per rendere il brano un capolavoro. Ma forse (e sottolineo forse), il brano più memorabile di tutti è “We’re In Love”, una poesia delicata e morbida, dedicata all’amicizia delle tre, e cantata quasi unicamente dalla Dacus, che offre una performance superlativa e memorabile.
Non mancano, infine, dei momenti più rock, più energici, e che si inseriscono alla perfezione nell’economia del disco, fornendo all’album una maggiore dinamicità e varietà. Le tracce in questione sono l’azzeccata “$20” e la meravigliosa “Anti-Curse”, entrambe magistralmente traghettate prevalentemente dall’anima più rock del trio, ossia Julien Baker.
Un disco così è destinato a rimanere dentro coloro che lo ascoltano, ed è impossibile, di tanto in tanto, non tornare a offrirgli un ascolto, come a sancire la propria gratitudine per la sua realizzazione e pubblicazione. Perché album così sono in grado di ricordarti perché, ogni giorno, tu abbia voglia di ascoltare musica, e di perderti nelle note e nelle emozioni di chi, questa grande musica, è in grado di scriverla sempre e comunque. Tenetevelo stretto, questo the record, perché beni del genere sono molto più preziosi di quanto immaginiamo.
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IlConte
28 gen 24JimmyFuma
28 gen 24DaniP
28 gen 24Annette
28 gen 24#forse ci riprovo
Almotasim
28 gen 24Almotasim
28 gen 24Almotasim
28 gen 24Almotasim
28 gen 24macmaranza
31 gen 24withor
28 gen 24Confaloni
29 gen 24RinaldiACHTUNG
30 gen 24macmaranza
31 gen 24La rece mi ha incuriosito, e ci butterò un orecchio.