Ascoltare dischi come questo in determinati stati d'animo può diventare un'esperienza. Può voler dire emozionarsi, può voler dire affezionarsi, non poterne più fare a meno. Iniziare una spece di viaggio cerebrale, un sogno ad occhi aperti che inizia ogni volta che vi posiamo la puntina sopra. Rimango estasiato all'ascolto di certi suoni, suoni elettronici che sembrano arrivare dal paradiso, cambio ritmo con loro, esco dalla società degli orologi ed inizio a fluttuare in questa dimensione onirica e il resto sembra non importare più. Penso che è come crogiolarsi nel ricordo di una persona amata, malinconia che ti avvolge e rende tutto ovattato, mentre ascolto a bocca aperta e fisso il vuoto. Ma sto fissando la musica, i colori sono la musica.

Trattasi del progetto dell'inglese Chris Adams, uscito la scorsa primavera per Anticon. Un disco dall'impronta elettronica, elettronica rarefatta che contamina pezzi di folk, smontati e rimontati ("Many Horses"). Parti di tastiera che sciolti nella psichedelia iniziano a viaggiare nel cosmo, trascinandoti nella culla di dolci melodie, delicate e sfuggenti. Nuvole di colore che evaporano davanti ai tuoi occhi ("Back on the Calder Line"), lasciandoti prima che tu ti renda conto di cosa stai vedendo/sentendo. Una musica di una dolcezza struggente ("Heathens"), sensazioni che possono fissarsi profondamente nella coscienza.

C'è sempre bisogno di dischi come questo, dischi che hanno a cuore i nostri sentimenti, dischi che fanno leva sulla nostra capacità di sognare, sulla nostra immaginazione. Non credo sia poco.

"...Ritrasportato lentamente verso la tirannia degli orologi, degli orari e dei rancori meschini, provai a parlare del viaggio. Dovevo aver balbettato come un idiota, i pensieri procedevano ad un ritmo accellerato, ma le parole non riuscivano a tenere il passo. La guida sorrise e disse di aver capito."

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