In piena Guerra Fredda, la paura della bomba atomica, del nemico sovietico e della tecnologia straniera è sempre latente nella tranquilla cittadina americana di Rockwell, nel Maine. Quando, una notte, qualcosa filtra dalle stelle e precipita in mare, una strana psicosi sembra diffondersi prima tra i cittadini, poi nel Governo. La “cosa” si rivela essere un robot alto trenta metri, che divora metallo e si nasconde nella foresta. Hogarth, un bambino come tanti, orfano vivace e fantasioso, incontra per caso questa sorta di enorme giocattolo, e anzi lo salva da una probabile distruzione. Inizia così la loro amicizia.

Brad Bird è una specie di genio dell'animazione per famiglie, uno che al quarto film aveva già due oscar all'attivo. Non stupisce che ci sia il suo talento dietro a uno dei migliori film di animazione degli ultimi vent'anni. Il Gigante Di Ferro è stato naturalmente un sonoro fiasco al box-office (del resto l'equazione ignoranza=successo stratosferico funziona piuttosto bene a Hollywood...), ma è un film meraviglioso, che sfiora il capolavoro.

La magia grafica, che accosta caldi colori pastello, toni e linee prettamente disneyane alla perfezione digitale del robot alieno, è la cornice perfetta per questa storia semplice e diretta ma con qualche spunto inaspettato e per questo ancora più interessante. La riuscitissima ambientazione anni '50 ispira anche il design del robot, che con i soli movimenti degli occhi e del mascellone risulta essere più espressivo di tanti attorucoli in carne ed ossa, mentre Hogarth è un protagonista non petulante, ma vispo, simpatico e immaginoso, pieno di fantasie e suggestioni tecnologico-fumettistiche. Gli scambi comici tra lui e il robot, uniti all'intrinseca goffaggine di quest'ultimo, sono estremamente divertenti e acuiscono il senso di amorevole bighellonata che permea gran parte del film.

Chi sa cos'è l'immaginazione non fa fatica ad accettare la presenza dell'androide venuto dalle stelle; oltre ad Hoggart, il suo primo amico sarà infatti Dean, uno scultore concettuale poco compreso. Tuttavia, la paura e la psicosi per l'outsider farà scivolare la vicenda per una china sempre più rischiosa, che metterà a repentaglio l'esistenza di Rockwell e la vita stessa sul pianeta. Sviluppando la vicenda, Bird attua un curioso gioco delle parti. Il robot infatti non è un semplice grullo extra-size, ma una micidiale arma aliena, concepita per distruggere l'umanità e presumibilmente spianare la strada a un'invasione; quindi chi cerca di fermarlo ne avrebbe, almeno in teoria, tutte le ragioni. Senonché la perdita della memoria e il contatto con l'innocenza e la sincerità di alcuni uomini faranno scoprire alla mente di metallo e circuiti che ci può essere un'altra via, un'altra scelta, mentre chi dovrebbe proteggere la società arriva a fare esattamente l'opposto.

La morale principale della pellicola è proprio che si può scegliere cosa fare della propria vita e delle proprie risorse; un messaggio semplice, chiaro, senza buonismo. C'è qualcosa però di più ambiguo. Il film è stato etichettato come una fiaba anti-militarista, e apparentemente è proprio così; ma se a salvare la città è proprio un'arma incredibilmente potente, allora è davvero giusto condannare in toto la tecnologia della distruzione? In fondo si tratta solo di utilizzarla per il verso giusto... E qui le cose si complicano, perché di certo i cattivi nella storia non sono i militari, che anzi dimostrano, con la figura del generale Rogard, una certa empatia e criterio nella valutazione. Cosa che manca all'inviato del Governo, a cui importa solo di sradicare a tutti i costi l'elemento estraneo per riportare tutti alla loro beata e ignorante tranquillità. Come a dire che i soldati sono brava gente, chi li comanda è il vero nemico, distante anni luce dalla realtà. In fondo cittadini di Rockwell ci mettono molto poco ad accettare la bizzarra e ingombrante presenza del mostro, che in fin dei conti non ha fatto male a nessuno. Sarebbe stato curioso vedere come avrebbe funzionato la storia giusto un paio di anni dopo, nell'America del post-11 settembre...

Al di là delle interpretazioni personali, il film è da vedere; è fatto semplicemente troppo bene, tutto funziona. Lo ammetto, mi commuove ancora oggi, perché la formazione-redenzione del freddo essere creato per distruggere che comprende cosa siano la sincerità e la trascendenza, dà significato ulteriore alla sua scelta finale. Il tono asciutto e diretto aiuta molto nel veicolare un messaggio ottimista e costruttivo, e fa perdonare alcune lievi scivolate nella retorica, quasi intrinseche in un film hollywoodiano e soprattutto in un cartone animato.

Riuscitissima la resa del robot, sia per l'uso oculato e creativo della CGI, sia per il suo design tra lo steam-punk e la B-fiction. Memorabile la sua metamorfosi guerriera, vera manna per gli appassionati di mech e dintorni, che si rifà sempre alla sci-fi degli anni '50, a “La Guerra Dei Mondi” e a un pizzico di immaginario manga.

Non credo che questo film si potrà mai definire un classico, un po' perché il pubblico l'ha snobbato, un po' perché il suo messaggio non è così scontato come sembrerebbe. Io però ho la netta sensazione che altri cineasti ne siano rimasti in qualche modo suggestionati. La scena iniziale di “Pacific Rim”, per esempio, ricorda molto da vicino l'arrivo del robot sulla terra (l'Oceano in tempesta, la notte, un peschereccio solitario...). Mentre nell'ultimo, mediocre Batman di Cristopher Nolan tutto il finale, compresa la statua all'eroe caduto, pare proprio un richiamo, molto più pacchiano e forzato, al glorioso destino del gigante di Rocwkell. Coincidenza? Forse, ma non ho dubbi sul fatto che questo film abbia lasciato un certo segno.

Magari non vi commuoverete, certo vi divertirete. E' un film sensibile, che ha cuore, che ha un'anima, e questo, nel becero firmamento di stelle digitali e non dei nostri anni '10, è oro puro. “Le anime non muoiono”, dice Hogarth al gigante. E infatti mi piace pensare che in qualche modo le anime buone davvero non muoiano e che possano guidarci. Purtroppo nessun eroe giungerà mai dallo spazio per salvarci o indicarci al via. Ma un film come questo può rendere un po' più ottimisti: il sorriso finale del gigante, che attende tra i ghiacci il momento di tornare, lascia un pochino sperare, se non in un aiuto alieno, almeno nelle buone scelte di noi stessi.


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