Settembre 2006. Appena finito di gustare "The way up" ecco che arriva, come un fulmine a ciel sereno, l'azzurrissimo album di Pat e Brad, due vecchi volponi dal cuore languido e romatico. Piano e chitarra. La coppia parrebbe apparentemente curiosa e innovativa. Il buon Pat vanta già collaborazioni con pianisti del calibro di Chick Corea e  quelle storiche con l'amico di sempre Lyle Mays. Ma lo show must go on ed il desiderio di oltrepassare nuovi confini risveglia nell'artista del Missouri la voglia di ricercare nuove combinazioni, per esprimersi al meglio, in questa fase comunque evolutiva, della sua musica.

Apparentemente si tratta di un album languido e sognante, che ascoltato di fretta regala poche soddisfazioni immediate. Un album maturo, complesso, difficile, che merita molti ascolti, ma che rivela, col tempo, un'essenza trapanante e piena di bravura. Una bravura a dir poco imbarazzante, dal momento che Pat, è veloce come un fulmine e Brad pare suoni talvolta con una mano extra. Le idee ci sono, non sono poche, vanno esplorate e percepite nella loro delicatezza, nelle sfumature dei tratti personali dei due artisti, che, è questo il bello, si influenzano a vicenda, si completano, si sfiorano componendosi in insiemi straordinari.

Dopo mesi di ascolto, mi sento di affermare che è un gran lavoro, curato, intelligente, dosato, sapiente, che non disorienta i fan più accaniti, che sorprende per il passo, perchè di un passo si tratta, in avanti. Pat è in piena evoluzione, e si sente. La gradualità con cui il suono tocca nuove prospettive è appagante e suscita il desiderio di scoprire il prossimo lavoro dei due, in uscita per marzo 2007, con l'aggiunta di una batteria e un basso, che andrà a formare un quartetto di sicuro interesse.

L'album apre con "Unrequited", scritta da Mehldau, atmosfera sognante, rilassante e sottile. Si percepisce subito una buona intesa, si avverte il tocco personale del pianista e gli intrallazzi di Pat vanno ad arricchire l'insieme. Piacevole. Segue "Ahmid-6", secondo me, la vera perla di quest'album. E' un pezzo teorico, brillante, dinamico e introspettivo. Pienamente methenyano, rimanda a suoni conosciuti ma evoca uno sbarco in mondi nuovi. Bravo bravo bravo Pat!
"Summer day" rallenta il ritmo, per aprire poi alla sorprendente "Ring of life". Scattante ed acrobatica, con accenti drum&bass, suonata in quartetto (ed è l'unica eccezione) insieme a Larry Grenadier, l'affermato e fedele bassista di John Scofield e Jeff Ballard alla batteria. Il suono risveglia gli animi più sopiti e dota l'album di carica e forte espressività. Ma pare un gioco, una parentesi. Si torna presto a ritmi più lievi con "Legend" e "Find me in your dreams" dedicato alla moglie Latifa, sempre protagonista nella musica di Pat. Un pezzo davvero romantico. 
Senza sussulti, ma comunque piacevole, la rivisitazione di "Say the brother's name", che trasporta fino alla superlativa "Bachelors III" nella quale Mehldau dà il meglio di sè e dimostra di essere un artista con le palle. Trascinante, efficace e profondo, arrembante.
Vanno a chiudere l'album "Annie's Bittersweet Cake" di Mehldau e "Make peace".

Alla luce degli ultimi dieci anni, nei quali ho ascoltato quasi l'intera discografia di Pat Metheny, collaborazioni comprese, concludo affermando che quest'album è una perla di rara bellezza, che consiglio fortemente, che classifico tra i migliori 10, e che mi crea scompiglio ormonale anche solo pensare di acquistare il biglietto di una relativo e probabile tour europeo.

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