"L'estate ha cantato in me per un po', e ora non canta più."
Se tanto mi da tanto, dopo aver visto la seconda opera da regista di Bradley Cooper che, pur raccontando l'umanità di un personaggio realmente vissuto e quindi non nato dall'immaginazione, mette in scena tematiche molto vicine a quelle della sua opera prima, a sua volta non originale ovvero A Star is Born, all'attore americano non mancano i demoni. O se cosi non è, non gli mancano tuttavia talento e sensibilità per raccontare sullo schermo questioni molto complesse e delicate.
A Star is Born e Maestro sono due storie di amore, musica, depressione, morte.
Con Maestro, Cooper torna indietro nel tempo, consapevole, come chiedeva retoricamente e cantava in Shallow, che questo mondo moderno non è un luogo di felicità e che forse c'è chi ha bisogno di più.
Copper decide di tralasciare di netto gli aspetti più politici della personalità di Leonard Bernstein, come la sua simpatia per le idee leniniste e per movimenti come i Black Panther, che portarono a coniare per la moglie, da parte del giornalista e scrittore Tom Wolfe, il termine "radical chic" a seguito di un ricevimento di raccolta fondi dell'alta società newyorkese. Scelta, questa di Cooper, dettata probabilmente dalla voglia di depurare il personaggio dai suoi aspetti potenzialmente più divisivi, per parlare di tematiche universali.
Senza mai far venir meno la consapevolezza che la realtà rappresentata non è mai "vera" realtà, ma piuttosto il pretesto per aprirsi al mondo tramite l'arte e mettere in scena demoni, appunto, oltre che simboli, segni del tempo. Non si perda mai di vista questo aspetto della rappresentazione cinematografica, soprattutto quando riguarda personalità storiche.
Maestro, così, mette in scena, con sfoggio di primi piani, piani sequenza e virtuosismi visivi non indifferenti, la grandezza di un amore fondamentalmente platonico, tra due persone che si amano e accettano l'un l'altra prima ancora che arrivino ad amare e accettare se stesse.
E insegna - o quantomeno ricorda - che l'amore può talvolta prescindere anche dalla sessualità e trascendere, per quanto i casi di questo tipo siano rari come l'indovinare il numero esatto che l'altro ha in mente in quel momento.
Always remember us this way.
Il cinema non può restituire la complessità, le coerenti contraddizioni e i tormenti di un uomo e una donna, mai del tutto in ogni caso. Nessuna forma d'arte può farlo, nonostante molti artisti ci abbiano provato e spesso con egregi risultati. Ma la versione rappresentata sarà sempre un'amplificazione, in positivo o in negativo. Una allegoria.
Il cinema non è vita ma sogno, ovvero quel significativo, anche se illusorio, pezzo di vita che si svolge quando non siamo svegli e perdiamo coscienza, e insieme ad essa la cognizione del tempo e dello spazio.
Ed è bellissimo che sia così. Dopotutto, nessun sogno è mai solamente sogno. Come ci ricordava il più grande cineasta del Novecento, al termine del suo ultimo film, Eyes Wide Shut. Ambientato durante il periodo natalizio.
E infine, dopo l'inverno, anche primavera e estate possono tornare a cantare. Non sempre e non con la stessa intensità, ma il ciclo tornerà sempre a rinnovarsi.
"La musica non smetteva, traboccava come una sorgente e irrigava la mia anima completamente inaridita" Yukio Mishima
Maestro è grande cinema, con momenti anche piuttosto difficili da sostenere, e soprattutto ha due attori entrambi da Oscar.
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