Io son fatto così. Più una cosa è vera, con tutto quello che ne segue, più mi piace. E più questa è contradditoria, ingannevole e incoerente, più è vera. La perfezione non esiste ed io me sono già fatto una ragione; pena mi fanno quelli che la rincorrono. La perfezione è per le cose finte e illusorie, per le persone morte che recitano la parte delle vive. Sarà che son fatto così, ma più una persona o una cosa è simile a me, più mi piace. Narcisismo? No, è semplice autodifesa.

Ed è proprio per questo che mi piacciono i Braid. Musica fieramente adolescenziale che solo lo sfigato che se ne sta all'angolino buio alle feste invece che bere Sex on the Beach può riuscire ad ascoltare. Spigolosa, pulsante e anche infantile. Il critico la bollerebbe come "musica per ragazzini", a me - dicevo - fa stare bene. E' il migliore emo-core dei '90, che non può dare un tono alla gente desiderosa di avercene uno. E' musica stupida e commovente al tempo stesso, ma non potrebbe essere altrimenti.

"Frame & Canvas" ('98, Polyvinyl) è il terzo disco di questi quattro scriteriati che si ostinano a non fare musica originale per la rabbia delle riviste musicali alla moda. Tutto ruota attorno al solito spleen dell'adolescente annoiato e lunatico, con testi che sembrano essere tutti appendici di quello di "Celebrated Summer". Ascoltarlo, è un po' come vederne l'encefalogramma e, per disegnarlo, si va a ripescare da quel pozzo senza fondo che è l'underground americano anni '80 il muro sonoro degli Squirrel Bait e lo si va a puntellare con le acrobazie chitarristiche dei Fugazi, che vengono pure richiamati nelle armonie vocali di Bon Nanna e Chris Broach, sorta di Ian MacKaye e Guy Picciotto più ingenui e con la voglia di cambiare il mondo lasciata sotto il tappeto. Dodici canzoni ricche così di melodie sbilenche ma altrettanto sognanti, di cambi di tempo e di repentine accellerazioni, tanto curate nella forma quanto immediate nei contenuti. I Braid, con questo "Frame & Canvas", si lasciano così alle spalle le incertezze degli inizi e dischi acerbi come il loro esordio, "Franky Welfare Boy Age Five" ('95). Sono dei Cap'n Jazz (anch'essi dell'Illinois, ma di Chicago) meno travolgenti, con un songwriting più ponderato e multiforme che può far ricordare anche i Drive Like Jehu, mantenendo comunque la sintesi causata dalla loro foga da teen esagitati

I Braid si scoglieranno nel '99 (la loro ultima performance è contenuta in "Lucky to Be Alive", uscito postumo nel 2000), e si riuniranno nel 2004 solo per una tournée con tanto di DVD allegato. Scontati erano i propositi che li hanno portati a far musica, tutt'altro che scontata quest'ultimo. Il loro è uno degli emo-core più originali del periodo e che li rende riconoscibilissimi rispetto alle miriadi di band-fotocopia che vegetavano nei '90. 

"Frame & Canvas" è una bella botta di giovinezza. Ed è per questo che mi piace.

 

P.S.: degno di lode anche il progetto solista di Bob Nanna, The City on Film. "In Formal Introduction" è una perla di ballads à la Elliott Smith. Check it out!

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