Dalla prima lettera di OleEinar ai Debaserioti: "Gli dei del rock, si sa, sono capricciosi e spesso condannano all'oblìo senza apparente motivo formazioni che avrebbero meritato ben altro destino". Purtroppo queste illuminanti quanto dolorosamente veritiere parole calzano a pennello nell'ipotetica descrizione di fin troppi gruppi, scomparsi, per i motivi più disparati, dopo essere riusciti a lasciarci in custodia soltanto pochissime testimonianze del loro passaggio, a volte davvero sfolgorante, nel mondo dell'espressione musicale.

Tra i tanti guerrieri caduti prematuramente nel cruento e spietato campo di battaglia del prog figurano anche i Brainchild, un sestetto che, nel 1970, grazie alla produzione di Lennie Wright, percussionista dei Web e dei Samurai, realizzò un album piuttosto vicino alle sonorità dei lavori proposti dai due complessi appena citati, grazie soprattutto ad una corposa sezione fiatistica, impersonata dal sassofonista e flautista Brian Wilshaw e dal trombettista Lloyd Williams, supportata dal batterista Dave Muller, dal bassista e cantante Harvey Coles, dal chitarrista e cantante Bill Edwards e dal pianista e organista Chris Jennings.

Il disco in questione reca il curioso nome di "Healing of the Lunatic Owl" e si apre tutto sommato in modo piuttosto accessibile, con la breve "Autobiography", in cui la tromba di Lloyd ed il sassofono di Brian, mediante continue fughe soliste, sanciscono immediatamente lo strapotere dei fiati sugli altri strumenti, dei quali soltanto la chitarra tenta una seppur timida e fugace risposta. Bill si rivela essere un cantante piuttosto poliedrico, con interpretazioni molto sentite, che spaziano dalla calma in contrapposizione ai ricorrenti cambi di tempo di "Healing of the Lunatic Owl", alla grinta sospinta dai continui spunti d'organo e dal suono torvo del basso di "She's Learning", al timbro meditativo accompagnato da pacati arpeggi di chitarra e sorvolato dal flauto incorporeo di "Sadness of a Moment".

Gli strumenti a corde tornano alla ribalta in "Hide From the Dawn", la cui apertura è infatti affidata alle cupe note emesse dal basso e dalla chitarra, che, con ripetute entrate in scena, attraversano tutta la composizione, ridimensionando, per quanto possibile, il ruolo dei fiati, parzialmente in ombra anche in "Two Bad Days", in cui il ritmo dettato dal piano e dall'instancabile basso di Harvey, imbastisce un equilibrio tra i differenti suoni che troverà definitivo compimento nella fluente e articolata "A Time a Place", letteralmente tempestata di slanci individuali, sorretti di continuo dalla prorompente batteria di Dave. Quest'ultimo, grazie ad una tecnica notevolmente estrosa e cangiante, risulta essere in grande spolvero anche nella cadenza jazzata ed imprevedibile della conclusiva "To B", nei cui toni celebrativi, guidati da un flauto particolarmente mutevole e convincente, si riconosce una vera e propria cerimonia in onore dei fiati, destinata a concludersi nel caos prodotto dai musicisti al gran completo, i quali, dopo aver dato vita a queste acute dissonanze, saranno costretti ad eclissarsi, al contrario di questa loro creatura, nel silenzio più assoluto e impenetrabile.

Carico i commenti...  con calma