La carriera artistica della band originaria di Long Island, New York per molti versi è ascrivibile a quella di un'altra band molto rinomata nei circuiti underground, ovvero i Thrice.

Come quest'ultimi, l'evoluzione e la maturazione dei Brand New nel corso degli anni è significativa e per certi tratti inaspettata: partiti con un sound giovanile di matrice pop-punk vicino a quello dei Taking Back Sunday, come evidente in "Your Favourite Weapon" (2001), il combo tuttavia col secondo disco "Deja Entendu", cambia direzione, spostandosi verso un suono meno vigoroso e scanzonato, ma più profondo e ricercato, compiendo quello che è lecito chiamare disco della maturità. Partendo da queste coordinate, verrà poi concepito e sviluppato il terzo capitolo "The Devil And God Are Raging Inside Me" (2006)", mentre è di qualche mese fa l'uscita di "Daisy".

Adesso parliamo però di "Deja Entendu" (2003), titolo che, messo accanto al monicker della band diventa, quantomai un divertente ossimoro musicale.

11 pezzi, intro dai toni soffici, dimessi e d'atmosfera inclusa (la fantastica "Tautou"), di buon emo-rock/indie-rock con giusto qualche piccola sfumatura punk-rock, che riporta alle origini musicali della band.

Tre pezzi su tutti? " The Quiet Things That No One Ever Knows", "Me vs. Maradona vs. Elvis" e "Guernica".

Ho scelto queste tre composizioni in quanto rappresentano da una parte il picco qualitativo del disco e dall'altra perchè ognuna di esse incarna una faccia diversa dello stesso quadro.

"The Quiet Things That No One Ever Knows": Probabilmente il pezzo che meglio di qualsiasi altro descrive la band di New York, nonché anche il loro pezzo più conosciuto. Parte come una semi-ballad dai toni pacati, dopo un intro veramente ben fatta, per poi esplodere coralmente in un ritornello quantomai travolgente.

"Me Vs. Maradona Vs. Elvis": perla dispensatrice di emozioni pure. Una grande ballata, esempio di pop raffinato ed elegante. Una serie continua di arpeggi malinconici sostengono da soli la composizione per tre quarti, fino all'ingresso di chitarre distorte e batteria, che accompagnano un finale corale da applusi, con la reprise del ritornello stavolta cantato in maniera vigorosa e quasi liberatoria. Ottimo insieme di chiari e scuri, pieni e vuoti ben distinti.

"Guernica": Dr. Jekyl and Mr. Hide nella stessa canzone. Strofe sognanti e sofferte, atmosfera cupe, toni bassi, che contrastano con ritornelli quantomai esplosivi e veloci e con una parte centrale in cui il buon Jesse Lacey si spinge persino su tonalità scream. Una rarità questa se escludiamo anche "Transit Gloria... Glory Fades" altro unico pezzo tirato dell'opera e dai rigurigiti punk-rock/hc. Avvolgente e melanconica prima con un riffing mozzafiato, aggressiva poi. Peccato duri così poco.

Altri episodi degni di nota sono appunto le esplosioni vigorose di "Transit Gloria... Glory Fades" col suo giro di basso che sorregge le strofe quantomai ipnotico, la ballata acustica dal piglio intimista e sognante di "Play Crack The Sky" e "Jaws Theme Swimming" col suo ritonello proteso verso il futuro, il domani, che ti accarezza con la sua atmosfera tranquilla, qui ancora una volta un basso ipnotico entra ed esce dal recinto musicale e i quasi sette minuti di "Good To Know That If I Never Need Attention All I Have To Do Is Die", anch'essa con i suoi cambi d'umore.

Dagli 11 episodi, invece si distanzia un po' "I Will Play My Game Beneath The Spin Light" col suo mood stranamente allegro e gioioso, dalle influenze quasi latineggianti, in antitesi con la trama generale del disco, risultando non cattiva, ma un po' fuori luogo. Mentre "The Boy Who Blocked His Own Shot" col suo piglio vintage proveniente dalla Terra di Albione è quella che a me colpisce meno di tutte. Infine, un po' troppo prolissa risulta "I Believe You But My Tommy Gun Don't".

Quello dei Brand New è un mood sognante, spesso e volentieri velato da un forte senso di malinconia di fondo, capace di affiorare nella mente di chi ascolta ricordi sopiti, situazioni lontane, ma anche di visualizzare paesaggi naturali e grandi spazi aperti, nonché generare un senso di nostalgia nell'ascoltatore. Un disco che ti fa viaggiare con la mente e con lo spirito, l'artwork in questo senso è fortemente esplicativo di quanto illustrato.

Artefice di tutto questo è principalmente la voce di Jesse Lacey, qui viscerale e matura, spesso e volentieri sussurrata, che rifinisce ogni particolare, risultando per timbrica e intensità distante da quella di grandi hit passate come "Seventy times 7" e "Jude law and a semester abroad".

Per chi non avesse dimestichezza con il nome della band, il consiglio è proprio di recuperare questo "Deja Entendu" tappa focale ed intermedia, per carpire l'evoluzione di Jesse Lacey, Vincent Accardi e compagni dalle origini ad oggi.

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