La gente ha paura di buttarsi.

Come manichini, gli abitanti di Los Angeles passano le giornate inermi, nell'ozio, sdraiati al sole nei loro giardini con piscina. La loro pelle si scurisce, i loro capelli biondi si schiariscono. Le loro vite si appiattiscono. Clay, adolescente ricco e annoiato, torna a Los Angeles per le vacanze natalizie. Torna da suo padre, uomo d'affari assente e distaccato appena uscito da una seduta dal chirurgo estetico. Torna dalle sue sorelle, viziate e non ancora donne. Torna dalla sua ex ragazza Blair, ancora innamorata di lui, che ascolta gli X e Elvis Costello. Torna dal suo migliore amico Julian, perso in un vortice di droga e sesso.

Non ci sono limiti nella vita di questo ragazzi degli anni ottanta. Non c'è futuro per loro. Vivono alla giornata, vivono senza rendersi conto del tempo che passa, del male che li circonda e dello sbando che li corrode da dentro. La falsità delle attricette di Hollywood, l'apatia dei bei ragazzini biondi succubi di una vita che ha dato loro tutto, ma che alla fine non lascerà loro niente tranne disperazione. Clay vede tutto, sente tutto. E' spettatore distaccato dell'alienazione e dello smarrimento generale. Osserva e basta, osserva e capisce che l'unica cosa da fare è scappare, tornarsene lontano e cercare di dimenticare.

Los Angeles affascina con le sue luci al neon, le sue ville immense e le sue piscine azzurre, il suo clima sempre caldo, le sue spiagge e le sue strade. Los Angeles distrugge con le sue decadenti star del cinema, le sue feste notturne senza freni, le sue stazioni di servizio vuote e desolanti, i suoi giovani che vendono il proprio corpo, lo denudano e lo infettano.

Lessi per la prima volta "Meno Di Zero", romanzo d'esordio di Bret Easton Ellis, a sedici anni. Rimasi colpito dalle frasi taglienti, dalle immagini nitide che lo scrittore spiattellava nelle sue pagine. L'ho riletto in questi giorni, undici anni dopo la prima volta, e come allora ho ricevuto un pugno allo stomaco. Ellis era un ventenne quando scrisse questo romanzo. Sputò parole di rabbia distaccata, di malessere interiore e di sconfitta. Sputò parole che feriscono, ti stritolano e ti buttano al tappeto.

Due le scene che più mi hanno scioccato in questo romanzo, e che riassumono tutta l'intera opera prima di Ellis. Clay che, attratto da un curiosità latente, assiste alla tacita umiliazione del suo amico Julian, costretto a vendere il proprio corpo a vecchi uomini schifosi per sanare un debito di droga. Clay che, ormai stanco di tutto l'orrore che ha vissuto, se ne sta fermo a guardare le sue sorelle che giocano a fare il morto sulla superficie della piscina, a faccia in giù.

Ellis spara a zero sulla sua realtà, la realtà patinata e plasticosa di Hollywood. Ellis ci fa diventare spettatori della spietata società ricca e senza scrupoli, senza passione, senza capacità di vivere la vita. Ellis ci fa sentire lì insieme a Clay, Blair e Julian, ci porta nella loro vita di adolescenti incapaci di reagire, o forse solamente e dolorosamente riluttante a reagire. 

Le immagini che mi passavano per la testa erano di gente impazzita perché viveva a L.A. Immagini di genitori così insoddisfatti e affamati che si mangiavano i figli. Immagini di ragazzi della mia età che alzavano gli occhi dall'asfalto e restavano accecati dal sole. Immagini così violente e malvagie che diventarono il mio unico punto di riferimento per molto, molto tempo. Dopo la partenza.

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