Negli anni 90 e in questo inizio di nuovo millennio gli Stati Uniti hanno contribuito alla causa del progressive con numerose ottime band tra le quali spiccano nomi come Spock's Beard, Discipline, Glass Hammer, IZZ tanto per citarne alcune. In questa ipotetica "crema" del prog a stelle e strisce gli Echolyn occupano sicuramente un posto di primissimo piano in virtù dei loro indubbi meriti artistici, sicuramente superiori alla media ("Suffocating The Bloom" e "As The World" sono due veri e propri capolavori del prog anni '90). Che la stoffa ci fosse lo avevano tra l'altro subdorato anche quelle "volpi" della Sony che infatti avevano fatto entrare gli Echolyn nella loro scuderia salvo poi scaricarli quando si erano trovati tra le mani un lavoro come "As The World" che non somigliava molto al pop di plastica tuttora in voga (chissà cosa si aspettavano...).
Questo breve preambolo per arrivare a parlare di Brett Kull che degli Echolyn è il chitarrista nonché "co-vocalist" e principale mente compositiva assieme a Chris Buzby. Kull è da sempre piuttosto attivo dal punto di vista musicale occupandosi di registrazioni, produzioni, missaggi e suonando, oltre che con gli Echolyn, anche con i Grey Eye Glances e con gli Still-Always Almost (una delle due band che nacquero dalle ceneri degli Echolyn). Tra tante attività il talentuoso chitarrista americano pare abbia trovato anche il tempo per comporre qualcosa di esclusivamente suo ed infatti eccolo pubblicare questo primo lavoro da solista che sono andato ad ascoltare con molta curiosità.
Il CD, caratterizzato da una copertina non certo esaltante e da un libretto ridotto all'osso, contiene 13 canzoni tutte di durata medio-breve. Nel disco, oltre a Kull, suonano due componenti degli Echolyn (Paul Ramsey alla batteria e Chris Buzby alle tastiere e agli arrangiamenti orchestrali), nonchè Dwayne Kessel alle tastiere, Jordan Perlson alle percussioni (era accreditato come membro degli Echolyn su "Cowboys Poems Free"), Molly Decker alla voce e vari musicisti ospiti ai violini, al violoncello, alla voce. Cosa possiamo aspettarci dunque dal punto di vista musicale?
Come era già accaduto per i primi lavori solisti di Neal Morse, leader degli Spock's Beard, anche in questo CD non troverete traccia del gruppo di origine: nessuna reminiscenza Echolyn dunque ma solo una serie di pure e semplici canzoni pop. Troppo poco per interessare il prog fan penserete voi ma vi assicuro che non è così. A parte il fatto che non di solo progressive vive l'uomo e che talvolta bisogna far rilassare il cervello con qualcosa di meno intricato, va detto che scrivere una bella canzone è altrettanto difficile che scrivere una mega suite prog e richiede un notevole talento (parlo di canzoni con la "c" maiuscola ovviamente, non certo di quello che ci propina MTV).
Brett Kull di talento ne ha molto e le 13 tracce contenute in questo "Orange-ish Blue” lo dimostrano pienamente. Si parte alla grande con "Kisses In The Sun", in pieno stile Beatles (principale fonte di ispirazione per Brett), nella quale la chitarra gioca un ruolo da protagonista alternando accompagnamenti piuttosto retrò caratterizzati da tremolo e wha wha a parti di slide-guitar. Si prosegue con "Mister Greenlight" nella quale il solare ritornello non può non ricordare alcune cose dei lavori solisti di George Harrison mentre la successiva, struggente "All The Rage" fa venire la pelle d'oca per la sua delicata melodia vocale e per il suo raffinatissimo arrangiamento di chitarra acustica, violoncello e violini. Dopo tanta bellezza la quarta traccia non mi ha particolarmente colpito nonostante la presenza di graziose backing vocals femminili, mentre torniamo già a livelli superiori con "When I Dream", una ballad caratterizzata da arrangiamenti chitarristici ben studiati e belle armonie vocali. Il compianto George Harrison torna a fare capolino nella successiva "Main Street", brano rockeggiante e dai toni più spensierati e leggeri ma non per questo qualitativamente inferiore, mentre sono di nuovo i Beatles ad influenzare "15 Hours". Dopo "Change" e "Come On Joe" (che non fanno gridare al miracolo) giungiamo verso la parte finale dell'album prima con "Something Love Forgets", ballad malinconica anch'essa caratterizzata dall'ottima sezione di archi, e poi con "Untitled #1" altro brano ricco di pathos nel quale si mettono nuovamente in evidenza bellissimi intrecci vocali. Chiudono il disco "I Won't Say Goodbye" e "End", degni epiloghi per un album veramente molto bello.
Per concludere, a chi consigliare questo disco? Sicuramente non ai sapientoni del progressive, quelli che si scandalizzano se su riviste dedicate al prog vengono recensiti gruppi ai margini del genere (va bene che si scandalizzano pure se vengono recensiti gli Spock's Beard....): per loro vedremo di scovare in futuro qualche gruppo uzbeko che magari nel '73 suonava prog accompagnandosi esclusivamente con le zampogne. A chi invece si prende un po' meno sul serio ed ha un approccio alla musica meno integralista non posso che consigliare vivamente questo disco: un lavoro realizzato con il cuore prima che con il cervello, da un artista che, dopo averci dato tante emozioni "progressíve", riesce a stregarci con armi che nel campo musicale si rivelano sempre vincenti: la melodia, il buon gusto negli arrangiamenti e l'intelligenza. Se vi pare poco...
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