Brian Auger (classe 1939) è il miglior interprete di organo Hammond che si possa immaginare. La sua storia musicale affonda le radici nella creativa e formativa scena londinese degli anni sessanta: lui c’era, sin dagli inizi di quel prolifico movimento, a far musica con gente come John McLaughlin, Rod Stewart e Julie Driscoll fra gli altri, a jammare con Jimi Hendrix, a mettere il pianoforte via via in secondo piano a favore di quella doppia tastiera elettromeccanica progettata per stare dentro chiese e parrocchie ed invece adottata da tutti gli studi di registrazione degni di questo nome, nonché trascinata non senza sforzo sui palchi di tutto il mondo. L’Hammond è uno strumento che per Brian non ha segreti cosicchè quando viene suonato con la competenza, la classe e … ed è pure senza tempo, nel senso che provoca tuttora piaceri all’ascolto non paragonabili a nessun’altro marchingegno elettronico per tastieristi.

Il pezzo forte di quest’album, datato 1973 e cronologicamente quarto nella corposa sequela di lavori usciti sotto questa denominazione di gruppo, è però dominato dal pianoforte elettrico, quel Fender Rhodes così rumoroso e difficile da amplificare, ma dall’impagabile timbro rotondo e armonico. Il sincopato riff d’attacco di “Happiness Is Just Round The Bend” è epocale, altrettanto il walking bass che serve a far rotolare il ritmo senza scosse. V’è una concessione alla moda d’epoca rappresentata dai ripetuti pads di minimoog e di mellotron ad infiorettare e contrappuntare la melodia, ma se ne sarebbe potuto fare a meno ed in effetti nella riproposizione dal vivo di questo brano, che non manca mai nei concerti del nostro, ne è sparita ogni traccia. Impagabile poi l’assolo finale dell’ispiratissimo pianista londinese, specie sopra gli stacchi della ritmica in prossimità della chiusura del pezzo.

Un altro momento forte dell’album è rappresentato dall’estesa “Compared To What”. Qui il rock jazzato di Auger si riveste di funky e di blues, gli stop&go e la melodia più strillata e blues rendono questo numero meno rotondo e universalmente accessibile dell’altro, ma è ancora e sempre buona musica jazz, nella sua forma più facile e contaminata dal rock e dal pop grazie ad una sensibilità che Auger ha sviluppato, come già accennato, sin dai primi anni sessanta, accompagnandosi a cantanti blues e rhythm&blues e vivendo da protagonista la scena beat londinese e la nascita in loco del migliore pop di tutti i tempi, a contatto con Beatles, Stones, Who, Procol Harum e compagnia.

Il resto del disco presenta altri numeri di sobrio e piacevolissimo jazz rock. In essi Brian si affida per l’ultima volta alla propria non eccelsa voce per interpretare le sue canzoni: per l’album seguente infatti si sarà procurato la collaborazione dell’ottimo singer scozzese Alex Ligertwood (anni dopo finirà nei Santana). Attualmente ci pensa sua figlia Savannah a reinterpretare il repertorio nei numerosi concerti che questo esimio organista ed il suo quartetto dell’Oblivion Express ancora concedono in giro per il mondo.

Carico i commenti...  con calma