Dunque, fatemi capire… era il 1978 e in quel periodo l’allora trentenne Brian Peter George St.John le Baptiste De La Salle Eno (!) era impegnato contemporaneamente in: 1. Pubblicazione con i Talking Heads del grandissimo “More Songs About Buildings and Food”; 2. Presentazione di tre (3!) dischi nati ed arrangiati sotto la sua regia d’avanguardia: “After The Heat” con i Cluster, “Music for Films” e “Ambient 1/Music for Airport” a suo nome; 3. (Last but not least) girava per il mondo assieme a David Bowie nel tour celebrativo di “Low” ed “Heroes”. L’incredibile mole di lavoro che il fantasioso “sovrintendente” musicale si sobbarcava può indurre a ritenere a priori che la quantità andasse a scapito della qualità dei propri lavori. Ma tale pregiudizio viene clamorosamente smentito dall’ascolto dei suoi lavori: mai banali, ricercati, approfonditi, in una parola “completi”.
Eno aveva iniziato la sua carriera come tecnico del suono. Dopo gli studi all’Accademia delle Belle Arti entra nel mondo musicale”che conta” attraverso la sua collaborazione coi Roxy Music di Bryan Ferry. Ben presto passera da collaboratore a vera e propria parte integrante del gruppo ma grossi contrasti proprio con Ferry lo porteranno verso nuove esperienze.
Dopo otto dischi a suo nome (tra i quali spiccano Another Green World con Phil Collins come guest in un paio di pezzi e Evening Star in cooperazione con Robert Fripp) si arriva a questo disco col quale Eno “architetta” un modo musicale tutto nuovo: la musica “ambient”. Non a caso il titolo recita: “Ambient 1/ Music for…” col chiaro intento di svelare come questa sia musica destinata all’ascolto in particolari luoghi e situazioni.
Questo disco tira le fila di un ambizioso discorso iniziato anni prima sia con lo stesso “Another Green World” che con “Discreet Music” risultando come il vertice dell’incorporeità che Eno ha sempre immesso nei suoi lavori.
Il carattere visionario ed un poco paranoico che contraddistingue tutte le opere di Eno riceve in questo album particolare consistenza. A partite dai titoli delle tracce (quattro in tutto, ma è preferibile definirle “momenti” o “movimenti”) che praticamente non esistono arrivando sino alla raffinata scomposizione dell’opera che viene “rilasciata” piano, piano con un crescendo quasi impercettibile, intervallato da minime cadute nel vuoto, sino al raggiungimento di un culmine che eccentricamente non arriverà mai, lasciando nell’ascoltatore un subliminale desiderio di riascoltare immediatamente tutto il disco. O almeno è quello che succede a me. In realtà il significato dell’opera coglie perfettamente il progetto di Eno: un disco che possa essere ascoltato all’infinto e che dia un senso di novità ad ogni nuovo ascolto e contemporaneamente la parvenza di una sibillina incompiutezza.
Quattro momenti, dicevo, accomunati da una impostazione minimalista di fondo. Nel primo un gigantesco Robert Wyatt produce delicate ed innocue frasi al piano ripetute e ricostruite con un sapiente gioco di missaggio. Il secondo momento, frutto di puro arrangiamento e sperimentazione alla consolle è la scomposizione e ricostruzione di un coro di voci femminili. Il terzo momento altri non è che il giusto compromesso tra i due precedenti. Il quarto è il passaggio studiato per favorire quel senso di elegante incompletezza che vi dicevo.
Non posso affermare che si tratti di un opera monumentale ma posso tranquillamente spingermi sino a dire che sia un disco dotato di un fascino irresistibile ed immutabile. Certo, oggi con l’elettronica a disposizione di tutti i musicisti, creare un lavoro così sarebbe un giochetto da ragazzi. Ma oggi per tutti noi è un giochetto da ragazzi scrivere dopo che qualcuno ha gia inventato la scrittura…
Carico i commenti... con calma