È uscito.
Dopo chissà quanti anni è finalmente uscito il nuovo album di canzoni di Brian Eno.
E siccome il signore in questione è noto a livello planetario e circondato da un alone di reverente rispetto da parte di chi lo colloca tra le figure più obliqua/mente influenti nella produzione musicale degli ultimi decenni, sono fiorite e fioriranno recensioni ovunque. E, naturalmente, contengono e conterranno riferimenti, più o meno dettagliati ed articolati, alla prolifica attività del Nostro, tentando di tracciare traiettorie utili a comprenderne connessioni e significati. Ecco, che qualcuno lo faccia è cosa buona e giusta.
Io ho in mente un'altra cosa... Il disco l'ho comperato appena è uscito, l'ho lasciato girare in ufficio, ho sbuffato un poco, ho esclamato: Cazzo! non è un disco di canzoni, è un disco meta ambient con qualche canzone! Poi l'ho portato a casa, riponendolo accanto alle altre creature del buon Brian. Starà un pochino lì, per ambient arsi.
Io ho quasi tutte le opere del Maestro, e alcune le ritengo davvero fondamentali. Ho anche una particolare e antica (risale al primo ascolto e non si è mai spenta) predilezione per un disco di canzoni, Another Green World. (Ne ha fatti anche altri, belli e interessanti, da solo o in compagnia di Cale, ma io amo quello)
Ho pure incontrato il Maestro, anni fa, e gli ho chiesto: ma quando fai un altro meraviglioso disco di canzoni? Lui fornì una risposta obliqua (e cos'altro poteva fare?). Pensavo sarebbe stato questo, il disco di canzoni meravigliose. Magari se lo lascio girare un po' di più, svelerà di sé più di quanto appaia ora, staremo a sentire.
In attesa di una vera recensione, che ci spieghi com'è e come dovrebbe essere, quanto vale, se si tratta di una conferma del talento di un grande o il cliché di un anziano un po' bollito, vorrei che leggeste le parole del vecchio Brian, che ho trovato tempo fa, tradotte e pubblicate non ricordo bene dove. Allego il brano che segue come piccolo tentativo di scalfire l'immagine largamente diffusa che ritrae il Nostro come serioso intellettuale ovviamente noioso; non è affatto così e se si ascolta il suo lavoro (le cose migliori) spesso si capisce, qualche volta un po' meno... Spero sappiate chi era Duchamp, altrimenti sarà bene documentarsi per comprendere il senso...

La Fontana di Duchamp

di Brian Eno

Gli sforzi per mantenere speciale l’arte diventano sempre più bizzarri. Questo era un tema del discorso che tenni al Museo d’Arte Moderna di New York come partecipante alla mostra High Art / Low Art.
Durante il giorno, dando un’occhiata alla mostra, notai che la Fontana di Duchamp - un orinatoio da uomo che egli firmò e espose nel 1917 come primo “readymade” - era tra le opere esposte.
Avevo precedentemente visto lo stesso pezzo a Londra e alla Biennale di San Paolo. Chiesi a qualcuno a quanto pensasse che potesse ammontare il premio assicurativo per il trasporto a New York di questa cosa e per la vigilanza.
Fu fatta la cifra di 30.000 dollari. Non so se questa sia attendibile, ma è certamente credibile.
Ciò che mi interessava sapere era perché, dato lo spirito con cui Duchamp affermò di aver fatto l’opera - con le sue parole, “completa indifferenza estetica” - fosse necessario trasportare proprio quel orinatoio e non un altro in giro per il mondo. Questo mi sembrò un totale fraintendimento: Duchamp aveva esplicitamente detto, "posso chiamare ogni vecchio orinatoio - o ogni altro oggetto di quel tipo - opera d’arte", eppure i curatori si comportavano come pensassero che solo questo particolare orinatoio fosse un’Opera d’Arte. Se non era così, perché allora non esibire un qualsiasi orinatoio - preso a molto meno costo dall’idraulico all’angolo?
Bene, a parte queste importanti considerazioni, ho sempre desiderato urinare in quel pezzo d’arte, per lasciare il mio piccolo segno nella storia dell’arte. Pensai che quella sarebbe stata la mia ultima occasione - ogni volta che era stato esposto era stato molto più protetto. Al MOMA era stato esposto dietro ad un vetro, in una grande teca.
C’era, tuttavia, una stretta fessura tra le due lastre frontali di vetro. Era larga circa 3/16 di pollice. Andai dall’idraulico all’angolo e presi due piedi di tubo di plastica trasparente di quello spessore, insieme a del filo zincato di lunghezza simile.
Tornato nella mia camera d’albergo, inserii il filo dentro al tubo per irrigidirlo. Dopo di che urinai nel lavandino e, usando il tubo come una pipetta, feci in modo di riempirlo di urina. Inserii poi l’intero apparato nella gamba dei pantaloni e ritornai al museo, tenendo il pollice sopra l’estremità superiore per assicurarmi che l’urina rimanesse nel tubo. Nel museo, mi posizionai davanti alla teca, concentrandomi intensamente sul suo contenuto. C’era una guardia che stava di fronte a me a circa 12 piedi. Aprii la mia patta e feci scivolare fuori il tubicino, inserendolo accuratamente attraverso la fessura nel vetro. Era della misura perfetta, e scivolò facilmente senza rumore fino a ché l’estremità fu posizionata sopra il famoso gabinetto.
Tolsi il pollice, e un piccolo ma distinto rivolo della mia urina schizzò dentro l’opera d’arte.
Quella sera usai questo incidente, documentato con numerosi diagrammi dimostranti da tutti gli angoli esattamente come era stato portato a termine, come base del mio discorso.
Siccome “dis-ordinare” fu uno dei paroloni di moda del giorno, io descrissi la mia azione come “ri-orinare”.

Brano tratto da “Brian Eno, A Year with Swollen Appendices”. Faber & Faber(London 1996).
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