Fluttuare in spazi siderali non criptati e mai sfiorati da esperienze umane terrestri. Varcare soglie di mondi che portano all'altrove, passando attraverso feritoie spazio-temporali appena percettibili, dove si ha modo di assimilare fino in fondo l'esperienza estatica dell'antimateria per spingersi ancora "più in là". Sonorità (?) impalpabile, leggera, mai completamente "ascoltabile" ma viceversa assimilabile, fino a farla diventare una seconda pelle o comunque parte integrante di sé; colonna sonora di un viaggio immaginario in altre galassie, ai confini impossibili di un infinito incommensurabile.

Ci troviamo a migliaia di chilometri dal pianeta terra, dove tutto è indistinguibile, dove l'aria si fa inconsistente, dove a mancare non è solo la forza di gravità. Mancano le coordinate del "comune vivere" come noi lo intendiamo sulla superficie terrestre. A predominare è infatti il concetto di "assenza", di svuotamento dell'anima, di annullamento dell'ego in quanto rapporto col nostro "esserci", appunto. La musica di questo viaggio NON ci appartiene: appartiene agli astri, alla Via Lattea, ai meccanismi celesti che regolano le leggi dell'Universo, non decodificato in quanto NON delimitato. Ascoltare questo disco implica necessariamente l'uscire dai canoni pre-stabiliti e universalmente accettati di bellezza o melodia, suono ed emozione, sentimenti e gusto, bello e brutto. Questi parametri di valutazione sono validi "quaggiù", tra noi umani dotati della pesantezza di un corpo, la limitatezza di un ego, e la fatica del vivere integrati a una Civiltà, di qualunque natura essa sia. Su è diverso.

Oltre l'atmosfera sono altre le logiche che fanno muovere il tutto. Primo: la mancanza del tempo inteso come susseguirsi di attimi. Secondo: l'assenza del ritmo (nato appunto per scandire un tempo, dare una regola, creare simmetrie, dare un appiglio a chi ascolta per suddividere periodi in momenti, momenti in attimi in moduli sempre più frazionati) della melodia (intesa come susseguirsi di accordi e armonie per creare bellezza o musicalità come la conosciamo noi). Terzo: la mancanza di una voce umana che per quanto eterea e angelica, resta comunque un fardello troppo ingombrante per un esperienza di tale intensità. Quarto e ultimo elemento: la mancanza di un peso. La mancanza di corpo, di sostanza, di materia. Dove il tutto è "unità armonica" non c'è bisogno di questo, perché "là" è già bellezza, è già armonia, è già consapevolezza e attitudine a quello che si potrebbe definire spiritualità. Brian Eno, come in "2001 Odissea nello spazio" ha fatto un viaggio di 48 minuti che potrebbero essere pochi o forse troppi, lunghi un attimo o brevi come un'eternità.

Minuti rari e preziosi, inutilmente classificabili, come tentare di decifrare il vagito sommesso di un feto nel grembo materno, la luminosità di un arcobaleno o il respiro di un monaco tibetano illuminato. Si devono trovare altri codici, altri parametri, altre unità di misura. Un altro modo di rapportarsi alle cose. Eno forse lo ha trovato o comunque ci è andato molto vicino. Durante questo viaggio di esplorazione musicale nel cosmo ci ha riconsegnato 12 frammenti di stelle (6 più aeree come frammenti ancora sospesi e altri 6 più melodici, come se i frammenti fossero diventati meteoriti caduti sulla supefice terrestre e quindi già "filtrati" e resi "melodici" per lasciarsi ascoltare da "noi"), 12 gioielli di un'altra dimensione, 12 perle che non possono mancare a chi, tramite la musica, cerca un rapporto con un'entità superiore, qualunque nome gli si voglia affidare. Anche i nomi, tutto sommato, sono solo convenzioni di "quaggiù".

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