Questo è un disco che sembra non godere di attenzioni privilegiate quando si parla del più famoso "inventore" della storia del rock, e mi sembra sia venuto il momento di tributargli il giusto omaggio e la dovuta importanza, poichè, intendiamoci, questi sono capolavori per cui la stessa parola "recensione" è un'offesa e un'impudenza imperdonabile.
Già ci avevano pensato qualche anno fa Todd Haynes e Michael Stipe a dare nuovo lustro al debut album di Brian Eno inserendo i due classici del glam "Needle In The Camel's Eye" (intriso di nostalgia dandy e con il fondamentale supporto di Phil Manzanera) e "Baby's On Fire" (perverso e tribale divertissment "guastato" sonicamente da Robert Fripp) nella colonna sonora del controverso "Velvet Goldmine", ma resta il fatto che in confronto ad altri lavori come "Another Green World" o "Before And After Science", "Here Comes The Warm Jets" (che, per quanto possa valere, è dati alla mano il disco che ha venduto di più dell'Eno solista) occupa certamente una posizione di minor rilievo nelle considerazioni della critica musicale.
Fatto, a mio avviso, assolutamente inspiegabile.

Avanti di millenni rispetto ai contemporanei (Roxy Music, che infatti virarono verso un soul funk da classifica, e Bowie compresi), brani come "Dead Finks Don't Talks" o la superba "The Paw Paw Negro Blowtorch" (a cui dovrà molto "Boys Keep Swinging" del Duca Bianco) mi lasciano a bocca aperta per la loro originalità di arrangiamenti e produzione, la freschezza delle melodie, la loro attualità rimasta praticamente immutata negli anni (e ne sono passati più di 30).
Sono brani spumeggianti, in cui Eno usa il formato della canzone pop per approfondire la propria versatilità sperimentale trovando il giusto compromesso tra soluzioni accattivanti, estetica glam e ricerca sonora, raggiungendo in questo "disequilibrio" paradossalmente un equilibrio perfetto, in cui pur succedendo di tutto a livello di suoni, la leggerezza delle canzoni non viene minimamente stravolta, ma anzi viene arricchita, stuzzicata.
In particolare trovo fantastico che Eno provasse a scrivere delle hits apparentemente frivole facendo contemporaneamente sperimentazioni azzardate... stando alla mia teoria secondo la quale un grande artista deve essere capace di scrivere pop songs di tre minuti che non annoiano mai, Eno dimostra di essere un genio assoluto: nella title track riesce persino ad emozionare usando sempre lo stesso riff e iniziando il cantato dopo due minuti.
Questo perchè, come spesso sostengo, è molto più facile avere 8 minuti a disposizione per metterci più roba stravagante possibile che non condensare tutto in tre minuti senza mettere a rischio la melodia e l'immediatezza... le canzoni pop di Brian Eno hanno ad esempio questo pregio, ed è qui che si misura il grande valore della sua musica.

Per concludere, quasi mi dispiace avere scoperto questo grandissimo disco così in ritardo, anche se mia mamma aveva il nastro di questo album (perchè negli anni '70 andava di moda "passarsi i nastri" tra amici, non le cassette, proprio i nastri!) ma era tutto usurato....eppure me lo diceva che le cose migliori Brian Eno le ha fatte quando si metteva l'eyeliner e, come sempre, aveva ragione. 

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