Cosa significa essere veramente 'sperimentali' e allo stesso tempo influenti nel mondo della musica? Brian Eno, che sicuramente è stato ed è ancora oggi tutte e due le cose, divide gli artisti da questo punto di vista in due categorie. Da una parte quelli che definisce 'farmer', che scelgono un pezzo di terra e lo coltivano accuratamente, cercando di accrescere nel tempo il valore di quello che hanno piantato. Poi ci sono i 'cowboy', che sono sempre alla ricerca di nuovi posti e sono sempre eccitati dal semplice fatto di trovare qualche cosa di nuovo e dalla libertà di essere in qualche posto dove nessuno è mai stato prima. In pratica, se vogliamo, stando alle sue definizioni, entrambe le categorie avrebbero dalla propria parte determinate caratteristiche rilevanti e punti interessanti da essere presi in considerazioni. I cowboy hanno sicuramente dalla loro un maggiore entusiasmo, i farmer sono d'altro canto di indole più mite, ma solo apparentemente. Voglio dire, come potremmo del resto considerare 'mite' l'atteggiamento costante e tenace di chi stabilisce e porta avanti nel tempo un lungo, razionale, meditato piano e progetto lavorativo e artistico. Come possiamo pensare che una cosa di questo tipo venga fatta senza entusiasmo? Sarebbe impossibile portare avanti un lavoro di questo tipo per decenni. È impossibile e penso che di questo sia consapevole lo stesso Brian Eno. Di essere portatore di una strana sana follia.

Un anno dopo la pubblicazione di 'The Ship' (Warp Records), un disco molto particolare nella lunga sequenza delle sue produzioni e un disco che egli stesso ha voluto definire come un'occasione particolare per fare quelle che ha definito sperimentazioni nell'uso della sua voce, Brian Eno ritorna con un nuovo album che è sicuramente qualche cosa di più 'tipico' relativamente i suoi standard e in particolare per quelli che sono i suoi lavori più prettamente 'ambient' (molti sostengono il disco abbia effettivamente una struttura molto simile a quella di 'Thursday Afternoon' del 1985, che sebbene fosse concepito come un disco destinato ad accompagnare sette sequenze visive, consisteva in effetti in un'unica lunga traccia estesa dalla durata di oltre sessanta minuti), ma anche qualche cosa di molto più sofisticato (secondo Brian Eno, il più sofisticato di tutte le sue produzioni ambient) e allo stesso tempo razionale, bilanciato, riflessivo che il suo lavoro precedente.

'Reflection' (ovviamente), questo è il titolo del disco (uscito su Warp Records il primo gennaio), è quello che si può definire in ogni caso per il momento l'ultimo episodio di una lunga strada che il musicista e produttore britannico ha cominciato nella metà degli anni settanta con il suo primo disco rilasciato a nome 'Brian Eno', cioè 'Discreet Music' (1975), anche se egli stesso fa in qualche modo fatica a datare l'inizio del suo legame con la 'musica discreta', considerando questo come qualche cosa che abbia sempre fatto parte del suo modo di approcciarsi alla musica: un vero e proprio concetto, una specie di ideologia e sulla quale avrebbe poi basato la sua intera produzione artistica.

A suo tempo, quando 'Discreet Music' fu pubblicato, Eno volle concepire l'intera opera come qualche cosa che dovesse essere rivoluzionaria perché significava per lui stesso (e poi per gli altri) un nuovo modo di concepire la musica, come se questa fosse necessariamente di volta in volta parte dell'ambiente e dell'ecosistema considerato, 'proprio come il colore della luce e il suono della pioggia sono parti del mondo della natura'. Da qui naturalmente fece derivare la definizione che ancora oggi vuole applicare alla sua musica e cioè quella di 'ambient', qualcosa che dunque non sia solo un genere musicale, ma un vero e proprio concetto ideologico esteso che richiedesse necessariamente di entrare in contatto con la musica considerando questa in relazione al contesto e allo spazio e al tempo e allo stesso modo considerando questa come se dovesse a suo modo determinare questi concetti. La musica deve dunque definire i concetti di tempo e spazio e con questo tipo di operazione anche dare un senso emozionale a quelli che sono i diversi avvenimenti e le interazioni, descrivere le situazioni e gli accadimenti anche solo attraverso la trasmissione di sensazioni e di sentimenti.

Curiosamente pensavo a qualcosa del genere qualche giorno fa quando, davanti alla televisione, doveva essere proprio la sera dell'ultimo dell'anno, ho visto per intero la nuova versione di 'The Jungle Book' di Rudyard Kipling (il film è anche in qualche modo volutamente un remake del film di animazione del 1967) diretta da Jon Favreau: in pratica anche questo un film di animazione e in cui la sola presenza 'umana' è costituita dal bambino (molto bravo) che recita la parte di Mowgli. Ma questo è naturalente un pensiero ricorrente e che può essere applicato in genere al cinema o alle arti visive e figurative anche e qualche cosa che tuttavia in quel determinato momento ho voluto considerare in particolar modo relativamente quella che si potrebbe definire come un'audience composta da giovanissimi. Nel senso, è evidente che un film di quel tipo sia principalmente dedicato ai bambini e, se ci riferiamo a bambini molto piccoli che potranno avere al massimo, non lo so, tre oppure quattro anni, è evidente che in questi casi il ruolo delle musiche sia l'elemento più determinante possibile per dare loro un'idea di quello che stanno guardando. Non possono comprendere del tutto i dialoghi, magari, sebbene si tratti di un cartone animato dedicato ai bambini, perché sono ancora troppo piccoli, non possono forse afferrare del tutto la trama, le diverse situazioni e gli intrecci pure più semplici che si vengono a creare nella storia, ma possono perfettamente comprendere tutte le emozioni che il film intende trasmettere e su cui è fondamentalmente strutturato e questo succede per una sola ragione determinante: l'utilizzo delle musiche. Il souno, in generale, è un elemento che non possiamo non tenere in considerazione nella definizione di ogni possibile ambientazione e/o situazione.

'Reflection' prende spunto da considerazioni molto simili. Effettivamente, come dicevo prima, è un lavoro molto sofisticato ma anche qualche cosa che per Brian Eno ha richiesto un lungo lavoro di tipo ideologico nel tentativo di espandere il concetto di 'ambient' music così come lo ha voluto intendere nel corso degli anni e sin da quando ha cominciato a fare musica. Relativamente quello che egli stesso ha voluto dire sugli intenti del disco, possiamo intendere le sue finalità al solito sperimentali per quello che riguarda le sensazioni che questo disco suscita su se stesso in primo luogo e successivamente sugli altri. Questa lunga composizione, dalla durata di quasi un'ora, come tutte le sue altre, è stata oggetto di ascolto ripetuto e prolungato anche per interi giorni da parte dell'artista e in differenti situazioni e questo allo scopo proprio di capire, riuscire a percepirne le diverse sfumature a seconda dei momenti e delle situazioni e allo stesso modo per vedere come questa influenzasse lo svolgimento delle cose. È un esperimento sociologico. Ancora una volta si applica la musica allo spazio, inteso come un posto contenente delle persone, una sola persona oppure una pluralità di persone, allo scopo di comprendere come questa possa aiutare nel creare un vero e proprio 'spazio psicologico' ideale che incoraggi quelle che ha definito conversazioni interiori e/oppure le interazioni sociali. Un esperimento sociologico che in quanto tale non può essere concepito come definibile da dati statistici, perché un esperimento sociologico (io penso sempre a quello tipo e fatto considerando ai diversi comportamenti delle persone e a come queste prendono posto a sedere in treno o metropolitana in relazione alla presenza di altri passeggeri) è per forza di cose soggetto a quelle che sono delle probabilità e le probabilità per avere un senso devono essere tutte quante messe assieme in un lungo arco di tempo. Solo in questo caso possiamo infatti considerare allora quali siano i suoi risultati effettivi.

Dovrà evidentemente essere lo stesso con questo disco. Voglio, dire, è questa sicuramente la ragione principale per cui pubblicare un disco di questo tipo. Qualche cosa che chiaramente chi non ama la musica ambient riterrà inutile da ascoltare, ma che i molti estimatori di Brian Eno non potranno che ascoltare e trarne grande giovamento oltre che nel caso trarre le proprie considerazioni relativamente i concetti che egli ha voluto sviluppare e sperimentare nel tempo e anche in questa occasione, tenendo conto che questo è ovviamente un nuovo rilevante capitolo di un processo che Brian Eno sta portando avanti da quarant'anni. In questo senso, egli si è per forza di cose voluto definito un 'farmer'. Secondo me in fondo, tuttavia, in ogni 'farmer' (quindi anche per quello che riguarda Brian Eno), alla base c'è sempre e comunque quello che è un 'cowboy'. Cominciamo tutti così.

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