In questi giorni mi son preso una sbandata per Bridget St. John. Succede così, in maniera irriflessa. Involontaria. Metafisica. Ti innamori di certe canzoni, d’una certa qual visione artistica, di una donna (del suo profilo, labbra, naso e broncio). Ti sembra uno scorcio formidabile per riallinearti a un mondo che, costantemente, come un flipper, ti manda l'ultima pallina nella buca. Nessuno vi dirà mai abbastanza quanto Bridget era fantastica, tranne tal David Peel del “folle volo”, come nessuno vi racconterà mai la verità sui propri punti a flipper!

Di lei dicevano: “Sembra la voce di Nico, se Nico fosse intonata e se fosse capace di provare desideri”.
O la definiscono “La Nico dei ranuncoli, tutta sole, sorrisi e cauto ottimismo”.
Nico, sì. Ma con un garbo lieve ed elegante. La voce è profonda, con increspature severe, ma educata; seppure “sverniciata” è capace di languire tenuemente. Non algida come la musa teutonica, ma similmente in grado di distillare sconfortante bellezza. I suoi modelli, in verità, erano Helen Shapiro e Buffy St. Marie! E c’è un problema! St. John era una cantautrice e le stava stretta l’etichetta di “interprete del folk londinese” di fine anni '60. Aveva anche un particolare fingerpicking chitarristico: una tecnica limpida, netta, una “filigrana” ispirata al suo mentore, John Martyn.

1976, il mondo si è fermato: ho tre anni, mi “scazza” l'asilo (perché mi fan fare il primo mese coi grandi?), John Peel va dicendo da un pezzo che Bridget Anne Hobbs in arte St. John è la miglior singer e songwriter della terra d'Albione. Io ottengo un piccolo flipper di plastica che, se non vuoi un gioco particolarmente dinamico, sul piano hai i tuoi discreti risultati, St. John svanisce.

Bridget era nata trenta anni prima nel Surrey in una famiglia di provette pianiste. Lei però passa dal pianoforte alla viola al banjo; si potrà comprare la prima chitarra classica soltanto alle superiori grazie alle mance della nonna. Mia nonna, invece, non elargiva mance ma solo buoni consigli, sotto forma di oracolo delfico: “Ti sei lavato le mani prima di mangiare? Conosci testé dov'è il cesso!”. Ai tempi della Sheffield University (si laureerà svogliatamente in italiano e francese), Bridget acquista finalmente una chitarra acustica, la va a scegliere con l’amico John Martyn. Martyn le fa far presto pratica con l’accordatura aperta in Re. In poco tempo lei compone una dozzina di canzoni, che le appaiono come “doni inconsapevoli”; un compagno, aspirante poeta, Pete Roach, che venerava al pari di lei John Keats, la presenta a John Peel che la lancia nel suo programma (Night Ride). È il 1968. Poco dopo, Peel fonda la Dandelion Records apposta per farle incidere quelle canzoni nella massima libertà, aggiungendo solo qualche cinguettio dagli archivi della BBC. Due sessioni da cinque ore ed ecco “Ask Me No Questions”.

Un album acustico, autografo, foriero di innocenza, misura e meraviglia; d’ambientazione bucolica. Intesse melodie stringate, non memorabili, ma imperturbate e pungenti, che si acconciano al di sotto di un orizzonte sempre più vasto. La sua voce è come ombra che sale dai fossi. Canta di "culle cristalline di nebbia e rugiada”, di “foglie accartocciate ad ottobre”, "steli sottili piegati e strappati”, “sussurri d'acqua”, "pino e cedro / Magnolia, tasso e tamerici”, neve e stagioni, delle “ali consumate delle farfalle”, di talpe e piccioni, fino al “ragazzo con la lingua di lucertola”; quindi l’innamoramento. “Non farmi domande / Non dirmi bugie se non ti spiace / E vieni con me / Là, dove vola il sole / Là, dove il cielo è ancora più azzurro è dove saremo". Il suo talento è di narrare senza affabulare, senza nascondere, senza lusingare, senza illudere, senza lamentarsi. Nel suo debutto aveva già sintetizzato il suo carattere.

Ask Me No Questions” è un set semplice e disadorno, di puro folk ma avvolto in una dimensione aulica e sacrale, con l'artista che si accompagna alla sola chitarra. Compaiono qua e là John Martyn e il futuro Fairport Convention Ric Sanders. Provate la fragranza unica e l’aura esistenziale di “To B Without A Hitch” e “Ask Me No Questions"!

Dunque era il 1969. Altri tempi! Pensare che Bridget si esibiva anche con King Crimson, Deep Purple e Jethro Tull. Suonò nel locale di David Bowie, poi al Les Cousins con l’anima gemella Nick Drake (spirito affine con cui condivideva silenzi e timidezza). Tuttavia non guadagnava abbastanza nemmeno da affrancarsi dai suoi. Poco cambia con gli altri due ottimi album: “Songs for the Gentle Man”, prodotto da Ron Geesin (di Atom Heart Mother), con arrangiamenti ampliati per un folk barocco che resta però introverso, e “Thank You For…”, prodotto da Jerry Boys (Steeleye Span, Sandy Denny), dove si cimenta col folk-rock anche con cover importanti (ma il disco non fu nemmeno distribuito all’epoca perché la Dandelion fallì). St. John registrò pure un quarto lavoro, “Jumble Queen”, orientato al soft rock, per la Chrysalis, ma non vendette nulla. Nemmeno io ricavai molto dagli spicchi di mela che portavo a casa dall’asilo. Solo qualche rimprovero.

Così siamo tornati al 1976, quando Bridget St. John se ne va. Via a New York, Greenwich Village, dove, dopo un primo breve soggiorno, Bridget decise di andar a vivere; era pure naufragato il suo matrimonio (tanto che per un certo periodo si era ostinata a vivere in un cottage isolatissimo e senza acqua). Appena stabilitasi, scopre che il suo ragazzo viveva con un’altra. Tuttavia l’amore per New York è fatale, irriflesso, metafisico. Ma qui, in una manciata di anni, abbandonerà progressivamente la musica per lavori più redditizi: lavapiatti, barista, addetta alle pulizie, cuoca, bar manager, badante, assistente di un artista; diventa anche mamma. Soltanto dopo una ventina di silenziosi anni c’è un ritorno alla musica, abbastanza subalterno, intorno alla metà dei ‘90, per un tributo a Nick Drake, per qualche collaborazione con Michael Chapman e con Kevin Ayers. Un ritorno che continua ancora oggi, con un gruppo a New York quasi amatoriale, che non registra, non ha un manager né un suo sito internet.

Rifulse per poco più di un quinquennio la stella di Bridget St. John, senza mai il supporto delle vendite. Ma questa cantautrice folk non vive di rimpianti, non si cura dello status di culto, di un successo forse non del tutto sopito ma transeunte. Racconta ancora oggi, a settantacinque anni, di essere stata invece fortunata. Ha trasformato la casualità delle sue sorti nel destino dell’anima, pur dovendo sempre tornare a fare i conti con questo mondo di uomini e di flipper. Ma lei è felice e ha in cantiere un album di incompiuti di Kevin Ayers, con la figlia di lui, Galen.

Io intanto, che sono in paradiso con “Ask Me No Questions”, vado a farmi defibrillare il cuore.

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