Il nome di Bridget St. John potrebbe, purtroppo, suonarvi nuovo. Lasciatevelo dire: vi state decisamente perdendo qualcosa. Non credo di esagerare affermando che Bridget St. John, al momento, è una delle figure femminili più sottovalute in assoluto nel campo musicale. La dolce musa londinese infatti è dotata di una voce di velluto indiscutibilmente adorabile, capace di scaldarvi fino al midollo anche nelle più infami nottate invernali.
Bridget St. John nasce nel 1946 in una famiglia benestante nel sobborgo londinese di East Sheen, da adolescente compra la sua prima chitarra (presumibilmente acustica) e comincia a mettere in musica le poesie che ha da sempre scritto. Ma se non fosse stato per l'incontro con John Martyn, durante uno scambio universitario ad Aix En Provence nel 1967, sarebbe stato difficile vedere Bridget St. John esibirsi davanti a un pubblico vero e proprio. “Mi piaceva suonare e cantare, ma ero terribilmente timida. E non potevo immaginare di intramprendere una carriera nel campo della musica perchè spesso non ero consapevole di cosa stessi creando o suonando, mi esprimevo semplicemente attraverso dei suoni che mi piacevano”. John Martyn le aprì le porte di un nuovo mondo fatto di accordature e stili chitarristici non convenzionali e Bridget St. John non si voltò mai indietro, indicando tuttora John Martyn come suo mentore musicale.
A partire dall'amicizia con John Martyn sono tanti i punti di connessione tra Bridget St. John e il contemporaneo e conterraneo Nick Drake. La voce calda e soffusa, lo stile chitarristico inusuale con accordature aperte e arpeggi iridescenti, le influenze musicali presumibilmente simili, la riservatezza e l'introversione che sono state da sempre la maledizione e la benedizione di innumerevoli artisti. Non riesco a spiegarmi, come tanti altri, come sia stato possibile che i loro dischi siano stati accolti all'epoca con una tale, insopportabile, indifferenza. Bridget St. John, effettivamente, non ha mai raggiunto il successo assoluto ed è considerata dai più come una delle tante figure semi-fondamentali del Folk/Rock di inizio '70. Eppure ancora oggi Bridget St. John è in grado di ipnotizzare un nutrito esercito di fan ed è stata oggetto di una lenta ma regolare riscoperta anche da parte dalle generazioni più giovani.
Sta di fatto che a fine anni '60 Bridget St. John comincia a farsi notare, riesce a inserirsi nella confusa scena musicale britannica, si esibisce regolarmente nei college e nel circuito dei folk festival. Tra il 1969 e il 1972 inciderà 3 album per l'etichetta “Dandelion” di John Peel, si esibirà più volte per le radio della BBC e parteciperà alle gettonate trasmissioni dello stesso John Peel che ebbe l'onore di ospitare in quegli anni, guarda caso, anche Nick Drake. Nel 1974 Bridget St. John si posiziona al quinto posto nella classifica delle migliori voci femminili di quell'anno scelte dai lettori del Melody Maker. E non è un caso, infatti, che John Peel l'abbia spesso descritta come “la migliore cantautrice britannica in assoluto”. A proposito delle partecipazioni radiofoniche della nostra Bridget c'è da dire che, recentemente, è stato pubblicato uno splendido disco contenente un buon numero di sessioni registrate dalla BBC in quegli anni, su cui, purtroppo, non sono ancora riuscito a mettere le mani.
“Thank You For...”, datato 1972, è il terzo ed ultimo disco inciso da Bridget St. John per l'etichetta “Dandelion” e racchiude in se tante, preziosissime sorprese. Infatti se le prime due delicate canzoni “Nice” e “Thank You For” rischiano di passare scorrevoli e inosservate (con tutto il rispetto) non si può certo dire lo stesso per la terza traccia del disco. In “Lazarus” la nostra Bridget fa ricorso a tutte le sfumature segrete della sua voce e ci propone una versione spettrale e demoniaca della famosa traditional. Il risultato è un affresco musicale incredibilmente evocativo e travolgente che sembra provenire dai bassifondi e che difficilmente può essere accostato alla delicata creatura ritratta in copertina. Il lavoro compiuto con “Lazarus” da Bridget St. John è paragonabile al sortilegio con cui Hendrix trasformò la “All Along The Watchtower” di Dylan, rendendocela come quell'incredibile orgasmo sonoro che tutti noi conosciamo. Il paragone, che può sembrare azzardato, rende benissimo l'idea su cosa significi prendere una canzone e impadronirsene completamente, rivisitandola e . portandola a nuova vita. Bridget St. John infatti si impossessa letteralmente della canzone, si immedesima totalmente coi personaggi, la mastica e la ripropone completamente nuova, mettendosi nei panni di un improbabile, sventurato cronista da strada mentre ci racconta la storia del povero Lazarus. Poi come se niente fosse ci riporta improvvisamente alle sue delicate e introspettive atmosfere. “Goodbaby Goodbye” e “Silver Coin” sono delle cover eseguite con un eleganza e una raffinatezza assolutamente fuori dal comune. “Silver Coin” in particolare, scritta da Terry Hiscock (leader degli Hunter Muskett), subisce, anche se in modo completamente diverso, lo stesso trattamento di “Lazarus”. Bridget se ne impossessa completamente, la fa sua, riporta nuova linfa a una canzone che poteva essere considerata “finita” e ce la propone come un piccolo gioello di delicatezza e riflessione. Tra “Goodbaby Goodbye” e “Silver Coin” c'è spazio anche per la “Love Minus/Zero No Limit” di Dylan che viene puntualmente riscaldata e rigenerata dalla voce tiepida e setosa della St. John. Seguono altri tre brani originali di rara bellezza: “Happy Day”, “Fly High” e “To Leave Your Cover”; caratterizzati dalle liriche introspettive e dalle melodie distese e profonde. “To Leave Your Cover” è un piccolo gioello di cantautorato femminile, e dimostra che Bridget St. John non è solo un'ottima interprete, ma anche una compositrice matura capace di camminare con le sue gambe. Prima della piccola canzone conclusiva “A Song Is As Long As It Wants To Go On” c'è anche spazio per “Every Day”, omaggio a Buddy Holly che, risultando leggermente fuori posto, non rappresenta certo uno dei punti più alti del disco.
L'album è stato ristampato su cd nel 1995 con la gradevole e piacevolissima aggiunta di otto brani live registrati (presumibilmente in Francia) nel 1972. Queste bonus tracks sono l'ennesima sorpresa. Infatti ci mostrano il ritratto di una ragazza delicatissima e insicura, che riesce comunque a raggiungere la perfezione anche sul palco, ipnotizzando e seducendo il fortunato pubblico. Tra gli otto brani proposti spiccano “Silver Coin”, “Lazarus” e la confidenziale “Ask Me No Questions” tratta dall'omonimo album d'esordio che potrebbe benissimo essere il biglietto da visita della nostra imperturbabile musa. L'applauso affettuoso che parte prima della fine della canzone è il meritato riconoscimento per un esibizione che indubbiamente non è passata inosservata, nonostante sia stata caratterizzata semplicemente dalla più intensa e trattenuta eleganza.
“Thank You For...” è un disco intimo, vellutato e ricco di spunti memorabili. Non è un'opera che ha cambiato la storia della musica, e mai lo farà, ma può regalare delle piacevoli suggestioni e dei momenti di riflessione, accompagnati da una delle voci femminili più caratteristiche e profonde del folk inglese.
“Ask me no questions, tell me no lies if you don't mind, come with me...”
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