Se all'uscita di "I'm Wide Awake It's morning" e di "Digital Ash In a Digital Urn" qualcuno ancora si domandava chi fosse quel ragazzo smilzo e dal portamento esile che faceva sempre più parlare di sè e che aveva conquistato con "Lua" i primi posti della classifica di Billboard, ora gli interrogativi e le domande si sono fatti più timidi e sporadici, e in molti riconoscono il talento, ormai più volte confermato, di Conor Oberst, aka Bright Eyes.
Conor è un artista eccentrico e poliedrico, versatile e affascinante, affetto da una straordinaria bulimia espressiva che gli consente di produrre un'infinità di brani, conservando sempre una solida originalità qualitativa; è l'astro nascente del rock statunitense che si è svelato con la forza dirompente dei suoi testi e con le sue canzoni meravigliose. La prima volta che lo sentii nominare storsi il naso, pensando immediatamente ad uno di quei cantanti opachi da classifica che, dopo due o tre singoli insignificanti, scompaiono insieme alle loro acconciature ben curate e alle loro ipocrite pretese. Quando invece lo ascoltai, stentai a conservare quell'aria scettica e superiore da primo ascolto, e mentre mantenevo un'espressione indifferente e rilassata sul volto, mi calavo in una melodia avvolgente, densa e penetrante, che mi si improntava direttamente in testa. Quelle note vivide cozzavano con la mia avidità di nuove scoperte musicali. Nel corso di pochi mesi Bright Eyes divenne uno dei miei artisti contemporanei preferiti. Durante un viaggio negli Stati Uniti ho acquistato tutta la sua discografia, persino le collaborazioni che difficilmente si trovano qui in Italia.
Nel giugno del 2005 ho assistito al concerto a Torino, presso lo spazio 211. Ricordo di essere rimasto stupefatto sia dall'abilità di quel 24enne, che si agitava sul palco con una sicurezza incredibile e quasi irritante, sia nel notare quanta poca gente fosse accorsa per assistere ad un evento del genere, peraltro gratuito. Ora dopo quasi tre anni di attesa, posso finalmente ascoltare la nuova opera del giovane Conor, ed attendere, seppur poco fiducioso, che aggiunga delle date italiane a quelle già fissate nel tour di primavera, sold out in tutta Europa. Nel corso degli anni la musica di Bright Eyes ha sempre espresso una certa conflittualità e un certo contrasto fra la musica folk tradizionale americana e lo stile lo-fi dei Violent Femmes o degli stessi Flamin' Lips, idoli giovanili dell'artista.
Nell'ultimo album, "Cassadaga", Conor propende per la tradizione folk americana, più marcata ed evidente rispetto allo stesso "I'm Wide Awake It's Morning", tralasciando uno stile più dissonante e cupo che aveva contrassegnato gli album precedenti. Pur sentendomi molto vicino al lato più "oscuro" di Bright Eyes, ai rumori vibranti e ai suoni ipnotici di "Letting of The Happiness", forse il suo album più sottovalutato, non posso fare a meno di ammirare la sua instancabile ricerca musicale, che questa volta si cala nel solco della tradizione. L'album si apre con l'ormai consueto brano introdduttivo: una voce narrante interrotta da quella ispida e al contempo vellutata di Conor che a sua volta viene accompagnata da melodie orchestrali. Segue "Four Winds", uno dei singoli dell'album, già presente nell'omonimo Ep, che presenta un sound denso, compatto e avvolgente: le chitarre danno una struttura al brano, rafforzata dall'armonia tipicamente folk del violino e dai sospiri dell'organo. "If The Brakesman Turns My Way" si apre con la sola voce di Conor, accompagnata dolcemente dal piano, che poi si sviluppa con la presenza delle chitarre slide, del basso e dell'organo, con un crescendo e poi con il ritornello. Il brano ricorda molto il Dylan degli anni 90, in particolare alcuni pezzi dell'Unplugged, ma al contempo pare un po' ripetitivo e protratto esageratamente in lungo. Anche "Hot Knives", probabilmente uno dei brani più validi dell'album, ricorda il menestrello di Duluth, ma è più vicino allo stile, ormai consolidato, di Bright Eyes, in particolare nelle parti di sola voce e chitarra e nelle esplosioni orchestrali che invece somigliano molto a certi brani di Sufjan Stevens.
La successiva "Make A Plan To Love Me", forse troppo artefatta a causa dell'esagerato apporto degli archi e delle voci femminili, ricorda gli album più recenti di Leonard Cohen. La bellissima "Soul Singer In A Session Band" pare un omaggio alla musica irlandese e ai ritmi altalenanti dei Pogues. "Classic Cars" è probabilmente uno dei brani migliori dell'album: la voce del nostro si fa più calda, sofferta e presente, diretta e limpida. "Middleman" è una canzone eccezionale, lirica e dipinta dalle trame del violino, che mostra ancora una volta evidenti richiami alla musica folk irlandese che peraltro è direttamente collegata a quella statunitense. "Cleanse Song", ancora più lirica della precedente, presenta un ritmo di percussioni quasi tribali, vibranti sospiri di organo e anche fiati, nonostante risulti evidente la centralità della chitarra acustica. Ed ecco un piccolo gioiello, forse il brano migliore dell'album."No One Would Riot For Less" sembra davvero uno dei primi capolavori di Leonard Cohen; la voce di Conor è più grave, piena e profonda, accarezzata da oniriche voci femminili, e accompagnata prima da una chitarra acustica, soltanto in seguito dal resto della band ed in particolare dagli archi e da un ritmo ossessivo di batteria. "Coat Check Dream Song", che sembra un brano di "Digital Ash In A Digital Urn", presentato però con strumenti classici e senza l'apporto di sintetizzatori o di un tessuto elettronico, assume toni ipnotici e attinge dalla musica indiana; la sua presenza nell'allbum sembra una forzatura inutile, ma bisogna aspettarsi anche queste sorpese dalla diabolica mente del giovane Oberst.
"I Must Belong Somewhere", penultimo brano, torna a rispettare la direzione musicale assunta dall'album ed è forse il brano che più si addice alla personalità e allo stile di Bright Eyes: intrecci di chitarre acustiche, basso pulsante, organo e voce sognante, spesso urlata, acuta e meravigliosamente stonata e amelodica. "Lime Tree" è il brano che chiude "Cassadaga". Qui la voce di Conor è più lieve, intima ma sembra rimbombare nel silenzio sonoro creato abilmente dal violino e dalla chitarra, la melodia è cupa e lineare, come un lungo e affascinante lamento. Bright Eyes sussurra in modo dolce ma mai melenso, come un commosso e appassionato narratore di storie. "Cassadaga" è un disco di soffici ballate acustiche che non sono però alternate, come invece accadeva in "I'm Wide Awake It's Morning", con altre più veloci ed elettriche; va letto come una sorta di omaggio, ma al contempo come il disco della continuità, quindi della coerenza artistica, ma soprattuto della raggiunta maturità.
Forse dopo questo album non si parlerà più di Bright Eyes come di un talento che deve dare conferme, ma come un artista che a soli 27 anni ha già detto molto. Il suo talento sarà nella sua ricerca, nel suo amore per generi diversi che è sempre riuscito impeccabilmente a combinare, e nelle sue piccole imperfezioni e insicurezze che ne determinano la grande autenticità. "Cassadaga" non possiede forse l'immediatezza, la limpidezza ed il lirismo di "I'm Wide Awake, It's Morning", nè la commistione di generi e quella versatiltà che forse possedevano gli album precedenti,come l'eccezionale e forse insuperato "Fevers and Mirrors", ma rimarrà uno dei dischi più importanti, il disco della consacrazione. Gli scettici tradizionalisti che prima lo snobbavano ne tesseranno le lodi, e quelli che apprezzavano Bright Eyes per la sua originalità e la sua vorticosa espressività, come il sottoscritto, ne capiranno l'importanza e la bellezza. Questo ragazzo non finirà mai di stupirmi, amato visceralmente o odiato con altrettanta enfasi, ma sempre presente e costante. Se dopo aver ascoltato "I'm Wide Awake, It's Morning" ci si calava in una coltre di immagini sfumate, ricordi, rimpianti e nostalgia, e si rimaneva un po' apatici e sognanti, dopo questo si capisce dove sia giunto questo ossuto ragazzo di Omaha, e si intuisce dove voglia arrivare.
Ancora una volta, grazie Conor.
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