La principale dichiarazione che i Bring Me The Horizon, gruppo deathcore/metalcore originario di Sheffield, hanno implicitamente voluto rilasciare in questo 2019, è stata questa: “Ogni etichetta che ha a che vedere con il rock o il metal comincia a starci stretta”.

La sensibilità pop di Oliver Sykes e compagni aveva iniziato a venire prepotentemente alla luce già in “Sempiternal” (2013), lavoro in cui – complice l'ingresso nella band del tastierista Jordan Fish – le chitarre lasciavano spesso e volentieri spazio a tappeti sonori elettronici ed ambientazioni eteree, dando così vita a sezioni atmosferiche in grado di concedere respiro ai segmenti più “heavy”. Il successivo “That's the Spirit” (2015) era un ulteriore passo avanti in quella direzione: del deathcore originario rimaneva solo lo sgraziato scream del cantante, che faceva capolino in maniera assolutamente non necessaria in numerosi brani di matrice pop-rock. Punto di forza del disco era la produzione, affidata proprio a Fish, che riusciva a fondere le esigenze del gruppo con una certa levigatezza sonora tipica del pop, indispensabile per tentare un assalto alle classifiche.

Il 2019 della band si è aperto con “amo”, un bizzarro concept-album sull'amore che ha finalmente offerto al pubblico una versione apparentemente più sincera dei Bring Me The Horizon attuali. L'impressione che si ha una volta giunti al termine della tracklist è quella di un gruppo che, anche attraverso banali questioni estetiche (i titoli delle tracce rigorosamente in minuscolo), si sta lasciando alle spalle un'ingombrante etichetta che da qualche anno ha iniziato a non rappresentarlo più, in favore di un approccio più istintivo e sincero: questo significa entrare nello studio e creare musica innanzitutto per sé.

Chiaramente “amo” è pur sempre un disco dei Bring Me The Horizon e le chitarre non possono che rappresentare le fondamenta di un paio di episodi (su tutti, i singoli “MANTRA” e “wonderful life”). Ciò che stupisce è però l'abilità dei cinque componenti nello sperimentare senza perdere neanche un minimo del loro potenziale radiofonico (il valore aggiunto resta sempre l'impeccabile produzione): Sykes e soci si avventurano dunque in territori trap (“why you gotta kick me when i'm down?”), liquid drum & bass (“ouch”) e art-pop (“nihilist blues”) con esiti anche molto buoni.

Questo nuovo “Music to GO TO”, a dispetto del titolo ridicolmente lungo e qui necessariamente abbreviato, è il passo in più che chi aveva apprezzato “amo” si attendeva dalla band. Pubblicato senza preavviso lo scorso 27 dicembre, è stato presentato come un EP contenente estratti di tracce scartate dall'album uscito a gennaio. Tutto ciò che sarebbe potuto essere, insomma. Ma c'è subito una cosa che non torna: un EP di 75 minuti? Sì; come il titolo, anche la durata è volutamente esagerata. Raramente però si ha l'impressione che siano 75 minuti sprecati: in quest'opera i Bring Me The Horizon rivelano tutta la loro passione per l'elettronica, ampliando ulteriormente la tavolozza di suoni utilizzata in “amo”.

Una delle prime cose che si notano durante l'ascolto di questo EP è che il gruppo ha iniziato a prenderci gusto a sovvertire le aspettative. Manifesto dell'intera opera potrebbe essere l'improvviso mutamento che avviene dopo poco più di un minuto nell'iniziale “Steal Something.”: si passa senza il minimo indizio da un'avvolgente introduzione post-rock dominata da chitarre riverberate ad una sezione dirompente, decisamente meno astratta, che costituirà buona parte dei dieci minuti di durata complessiva del brano. E' un continuo prendere o lasciare: i Bring Me The Horizon si divertono a sviluppare le loro idee in otto brani di natura diversa, insistendo ossessivamente su ritmi e melodie (è il caso di “Dead Dolphin Sounds 'aid brain growth in unborn child' Virtual Therapy/Nature Healing 2 Hours”) oppure troncando improvvisamente mirabili intuizioni pop (come nella traccia di chiusura ±ªþ³§”, che si fa notare soprattutto per lo splendido trattamento riservato alla voce dell'ospite Theresa Jarvis, a cui è affidato un ruolo di assoluto primo piano); sta a noi decidere se stare al gioco e continuare nell'ascolto oppure abbandonare, stanchi di farci beffare in continuazione dagli artisti.

L'unica vera e propria presa in giro che si può individuare in questo EP è la quinta traccia “Underground Big {HEADFULOFHYENA}, 24 minuti occupati in gran parte da un monologo del cantante Oliver Sykes sopra un loop ripetuto all'infinito. Dubito parli di cose sufficientemente interessanti, non sono andato oltre i dieci minuti e vi consiglio di fare lo stesso. Cancellata dalla memoria tale “canzone”, ciò che resta è un insieme di spunti molto interessanti seppur non troppo originali.

Si riscontrano palesi influenze di Burial nella sezione ritmica iniziale di “Candy Truck/You Expected: LAB Your Result: Green”, pezzo che ci offre una chiara visione della musica dance immaginata dal gruppo, prima di lasciarsi andare in una sommessa ed introspettiva coda al pianoforte. Ha afflati orchestrali invece “A Devastating Liberation”, che riprende la melodia di “why you gotta kick me when i'm down?” e ne offre un'interpretazione più epica, pomposa, ma allo stesso tempo emotivamente forte.

Elementi del recente passato musicale del gruppo emergono anche nella collaborazione con la reginetta del pop Halsey ¿, rielaborazione di “in the dark”, uno dei momenti più scanzonati e genuinamente malinconici di “amo”. Ne viene fuori un pezzo tiepido, che non aggiunge molto di nuovo a quanto detto dalle prime tre tracce dell'EP - forse solo un amen break - e si limita a ribadire il desiderio dei BMTH di produrre beat potenti e distorti e modificare le tracce vocali il più possibile.

Tutto funziona leggermente meglio in “like seeing spiders running riot on your lover's grave”, un numero di semplice pop con influenze lo-fi prodotto alla perfezione, in cui spicca un'azzeccata sezione di fiati, capace di catalizzare il coinvolgimento emotivo dell'ascoltatore.

In conclusione, un EP che non può sfuggire all'etichetta pop, ma che fa letteralmente a brandelli quasi tutte le (non infrequenti) suggestioni radiofoniche in favore del sano divertimento in studio e della sperimentazione. I Bring Me The Horizon stanno uscendo dal guscio senza perdere la loro identità e stanno lavorando in una direzione ben definita, che si poteva solo intravedere negli ultimi dischi. “Music to GO TO” è una conferma della loro capacità di plasmare ottimi brani electro-pop ed è un importante segnale della loro voglia di creare qualcosa di più ambizioso del semplice “brano da radio”.

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