In ambito musicale sono irrimediabilmente soggetta ai colpi di fulmine. Sono volubile, capricciosa e soprattutto avventata. Bastano 30 secondi di pre-listen per farmi perdere completamente la testa. Una sorta di disturbo bipolare che associa un ascolto ossessivo-compulsivo a momenti di esaltazione incontrollata.
Attualmente, il mio oggetto del desiderio si chiama Brisa Roché. Vive a Parigi, ma è nata in California. E’ prodotta dalla Blue Note, ma è decisamente Rock ed inequivocabilmente Indie… “The Chase” è il suo lunghissimo album d’esordio, registrato in 9 giorni allo Studio Plus XXX di Parigi e rivisitato dal valente Michael Leonhart. 19 brani che dimostrano un eclettismo impeccabile, ostentando retroscena jazz, matrici rock e un pizzico di sensazionalismo cienematografico.
Apparentemente, la linea guida non sembra avere né capo né coda. Ma forse sta lì il bello. Mi viene in mente Billy Holiday che gioca a poker con PJ Harvey, sfidando, di tanto in tanto, Bjork. Lei poi, è una creatura singolare e seducente. Filiforme e sinuosa, elfica e serafica, sembra un personaggio lynchiano, velato da un sottile esotismo.
Durante l’ascolto del suo album si respira un’atmosfera cosmopolita. Ci sono scenografie musicali da chansonnier d’oltralpe, un ruggente retaggio californiano anni’60 e la ruvida Seattle anni’90. L’album si apre, infatti, con “Airplane”, nuda ed elegante come “Baby Shut You Eyes”… accordi smunti, melodie sintetiche e liriche anestetiche. Sulla stessa lunghezza d’onda si inserisce “Warned” che si apre timidamente in punta di piedi, per poi trasformarsi in un ipnotico refrain sixties che rievoca Suzi Quatro e Pleasure Seekers. Seguono a catena “Torchlight” e “Dial Me Up” dove si avverte un retrogusto Mod. “Billionarie” potrebbe essere tranquillamente un laif motif di uno Spy-Movie anni’70: riff squadrati, fiati invasivi e indiscrezioni mariachi: i Calexico che prendono un caffé con Anita O’Day…
Dall’ascolto traspare anche un' originale venatura jazz, bagaglio di una breve permanenza nella Grande Mela e i suoi club reticolari. L’ autorevole influenza di “Lady Sings The Blues” si fa sentire in “Now That It’s Long Over”. Quell’ inconfondibile vibrato, lamentoso ed intenso, che rende l’interpretazione così intima e generosa…aggrapparsi alla nota e stringerla al cuore, fino quasi a strangolarla… Ma la signorina non teme nemmeno il confronto con il pretenzioso patrimonio musicale francese. “Dans Le Vert De Ses Yeux” e “Du bout des yeux” ammiccano a Monsieur Gainsbourg . Liriche e arrangiamenti all’altezza del repertorio delle muse del suo harem. “Mistery Man” è il brano che mi ha fatto capitolare. Poche note sono bastate per sconvolgermi le sinapsi e scatenare un ossessionante loop acustico. Una ballata suadente e disinvolta, vestita di un arrangiamento retrochic. Scelta, non a caso, come single strategy…
Lavoro elegante, mordace e “cinematico”, ma i miei colpi di fulmine si esauriscono in un attimo e già da un paio di giorni sono alla caccia di altri 30 secondi in grado di rivelarmi un altro nuovo, sensazionale e sconvolgente ascolto… e con un pizzico di nostalgia, ricordo, quando, fino ad un paio d’anni fa avevo tra le mani un nuovo CD che bastava a placare il mio raptus di cannibalismo musicale per almeno un mese…
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