Quattro bresciani e un russo per una operazione chirurgica sulla musica.
Per un disco che viene definito come un tributo italiano a Jack Kerouac.
Premetto che della beat generation conosco ben poco, purtroppo, anche se quel pochissimo che conosco mi affascina assai, ma questo disco è su una buonissima strada per diventare il mio album preferito del 2006.
Le cinque teste pensanti cui ho accennato sono quanto di più godurioso si possa trovare nell’ ambito di certa musica italiana fuori dai soliti schemi, e sono Boris Savoldelli alla voce, un personaggio influenzato da gente come Mark Murphy, Demetrio Stratos, Bobby McFerrin, Sting, Paul Rodgers, Ian Gillan, e Paul Carrack, che ha studiato per anni canto lirico e che ora si occupa anche delle sperimentazioni vocali di Demetrio Stratos approfondendo tutte le sue tecniche vocali come diplofonia, triplofonia, ecc., poi abbiamo Alessandro Ducoli impegnato nella scrittura dei testi e in diversi “camei” vocali recitati.
Il tastierista è Andrej Kutov, nato in Russia oltre il Circolo Polare Artico, diplomato alla scuola di Rostov e che ha suonato, fra gli altri, con Pat Metheny. Alle chitarre c’è Andrea Bellicini (ultimamente noto anche come Van Cleef Continental), e il “compositore sperimentale” è Federico Troncatti (e qui per la sua biografia è meglio visitare il sito http://brotherk.cusipusi.com, è troppo lunga. Tra l’altro potrete anche ascoltare e scaricare l’intero album), e con la partecipazione straordinaria di Matt Murphy, che recita un brano tratto da “Subterrans” di Kerouac, e quella di Fernanda Pivano che recita un testo di Ducoli.
Un’operazione chirurgica, si diceva, dove ognuno mette qualcosa di suo, una parte di se stesso, e che si fonde in un fantastico incrocio tra jazz, blues, soul e rock. La voce di Boris è sempre quanto mai espressiva, con un timbro allo stesso tempo avvolgente e “destabilizzante”, non so se mi spiego, forse ascoltando capirete.
A mio parere tutto il disco è su grandissimi livelli, ma ci sono almeno cinque pezzi che vanno ben oltre la media, soprattutto il brano con cui hanno partecipato alle finali del Premio Musicultura 2006 di Recanati, “Disarmonia”, definito dagli stessi critici della manifestazione come “una prova fortemente innovativa” per “l’influenza esibita del jazz” e per la “tecnica poetica”. Sono totalmente d’accordo, per me è una canzone splendida, rara da poter ascoltare in Italia, personalmente forse mi ricorda un pochino Donald Fagen.
Anche “Sotterranea 1” è fantastica, un po’ reggae e un po’ blues, con quei fiati e quella vocalità di Savoldelli che la rendono davvero bella. Altro grande brano dove la fa da padrone il jazz (ma ripeto, non ce n’è uno che sia meno che bello), è “Sulla strada”, testo più Ducoli che mai e altra grande prova vocale di Savoldelli. “Maladea” è interessantissima con quelle frasi recitate a più voci che si intersecano senza una apparente logica, ma ascoltando ci si accorge che una logica c’è. Bellissima anche “Brain Strike”, jazz puro in “Punto di luce” (Ducoli che recita), mentre la chitarra “noise” di Bellicini si può sfogare in “Qui dentro 2” e così accompagnare la voce di Savoldelli che si adegua.
Infine, ancora jazz con le tastiere di Andrei Kutov in una incantevole canzone finale che s’intitola “Gennaio 1971”. I testi rivestono un’ importanza notevole, è proprio come se Ducoli si fosse trasportato nell’era di Kerouac, di Corso e di Ferlinghetti.
"Osservo la mia tasca, C'è una macchina che mischia la bevanda e la benzina. Gli da fuoco quando supera la linea. Ricomincia a stantuffare, lo stantuffo cerebrale. Una chiave colorata per la porta della porta. La mia chiave difettosa per la porta del cervello. Un biglietto della terra dove cresce granturco, E un biglietto per il rancio, per sapere dove andare. Per riuscire a ritornare, qui bisogna camminare. C'è una stoffa ricoperta di schifezza e di penuria Che si stacca dal mio naso. Che cammina e si dirige verso il centro della sala, senza ruote Si dirige nel sistema che mi occorre ragionare. Per sapere se si muove la pressione. Se decide della mia colorazione, quando sale, sale male. C'è una piccola manciata di monete, le più basse conosciute. Quelle subito contate e disprezzate dalle masse. C'è una penna per segnare cosa faccio se mi muovo. Le mie mosse controllate i movimenti abituati. Dai vangeli costruiti per tenere più aggiornata la memoria. C'è una piuma per volare, camminare. Con le penne consumate che ho bisogno di asciugare."
E’ già uno dei miei dischi favoriti del 2006. Potrebbe diventare anche il vostro.
Carico i commenti... con calma