L'avventura musicale di Bruce Douglas Cockburn si divide abbastanza agevolmente in tre parti, una prima che potremmo definire più mistica e francescana, in cui la sua anima naturalmente spirituale e la sua fede cristiana lo inclinano verso la contemplazione della natura. Questa prima fase è fatta di lunghe e poetiche introspezioni e di delicati acquarelli, suonati rigorosamente in acustico con una tecnica chitarristica molto personale e con pochi uguali (mi viene in mente Leo Kottke, ma non so quanti altri). E' musica eterea, sottile, spesso cerebrale, sicuramente per una ristretta elite.
All'inizio degli anni '80, complice anche una grave delusione amorosa, “Inner city front” segna già nel titolo un'improvvisa svolta: la sua musica si fa elettrica, più urbana e nervosa, e le delicate meditazioni si trasformano in appassionate invettive pacifiste e ambientaliste, il mistico lascia il campo al politico.
E finalmente nel '91 con “Nothing but a northern light” e “Dart to the heart” raggiunge serenità ed equilibrio tra le diverse parti della sua anima.
Ognuna di queste tre parti tuttavia ha le sue gemme, in uno stile che è sempre stato di altissimo livello, sia poeticamente che musicalmente.
Credo che questo “Dancing in the dragon's jaws” sia il punto più alto del primo periodo. I temi esplicitamente cristiani non sono mai trattati alla maniera dei predicatori, ma sempre con grande delicatezza espressiva e l'uso di metafore ricercate fa sì che, pur essendo la fede al centro della sua ispirazione, la sua poetica non ne risulti mai appiattita.
È un disco insolitamente felice, pieno di allegria e gioia di vivere. Un disco con arrangiamenti più curati e vari, che introduce l'uso di strumenti particolari (indimenticabili i duetti di marimba e chitarra, come in “Creation Dream”). Un disco estivo, anche se pur sempre di una estate canadese, non certo caraibica, che sorprende particolarmente dopo i molti e sofferti dischi notturni e invernali che lo avevano preceduto. È anche il disco che per la prima volta lo fa uscire dalla nicchia canadese, approdando al mercato americano. La hit “Wondering were the lions are” è stata parecchie settimane al 40° posto nella billboard.
Il disco si apre con “Creation Dream” e uno scintillante duetto di marimba e chitarra che fanno a gara a inventare ritmi complicati e melodie attorcigliate. La canzone sembra descrivere una specie di visione mistica e così la descrive lo stesso Bruce in una intervista di otto anni dopo: “Una visione di Cristo che fa venire il mondo all'esistenza cantando"
La metrica è sofisticata, il ritmo di danza esotica imposto da chitarra e marimba si sposa perfettamente con il testo: “Centred on silence/ Counting on nothing/ I saw you standing on the sea” ed è un mistica insolita la sua, piena di allegria, è il Dio Creatore che crea il mondo danzando: “You were dancing/ I saw you dancing/ Throwing your arms toward the sky”.
Segue “Hills of morning”, una delicata preghiera ispirata dai romanzi di Charles Williams, su un ritmo sincopato, quasi reggae, che mantiene il brano straordinariamente allegro. Anche quando canta in maniera esplicita la sua fede, come qui, il suo rapporto con Dio non è mai banale e scontato, anzi Bruce ha sempre avuto parole pesanti verso quell'evangelismo che parla di Gesù come se ci avesse bevuto il caffè insieme dieci minuti prima. Così la sua invocazione è quella di fondersi insieme con il cosmo e la natura, in un afflato che è cristiano, ma potrebbe anche essere New Age: “Let me be a little of your breath/ Moving over the face of the deep/ I want to be a particle of your light/ Flowing over the hills of morning”.
La successiva “Badlands Flashbacks” è forse musicalmente il momento più alto di di un disco eccelso: un delicato acquarello sonoro che descrive un paesaggio in parte reale e in parte immaginario (non credo abbondino le antilopi in Canada!) su un tappeto intrecciato di chitarre e pianoforte. Vengono in mete le cose più delicate dei Genesis o dei Pink Floyd, ma ovviamente con un tono più americano. Se ti lasci prendere per mano ti porta in alto e ti fa sognare, basta chiudere gli occhi e ti trovi a volare!
Più convenzionale la ballata “Northern lights”, che descrive l'illogica allegria, come la chiama Gaber, che ti afferra a volte viaggiando di notte in autostrada. Ma intendiamoci, convenzionale non vuol dire brutta, tutt'altro, la partitura di chitarra è di quelle che fanno dannare le dita e la classe è sempre cristallina.
“After the rain” è stata descritta da Bruce come un tentativo di comporre un brano disco/non-disco, con una linea di basso diversa e senza il pum pum della batteria. E in effetti se la si ascolta con attenzione si ritrovano dentro certe atmosfere, certe armonie, che fanno pensare al meglio dei Bee Gees. Il testo è strano, oscuro, Cockburn introducendo live la canzone lo descrive così: “What it's about to me is sort of the destruction of the personality by love; personality and ego and all the things involved in that. Its also about driving through the city streets on a rainy night.”
“Wondering were the lions are” parzialmente ispirata al romanzo di Charles Williams “the place of the lion”, è sicuramente il brano più easy del disco e il suo maggior successo. Improvvisamente l'introverso cantautore canadese si trova catapultato in un mondo che non capisce e lo spaventa: “All'improvviso mi sono trovato nella macchina delle pubbliche relazioni dell'industria discografica. All'improvviso dovevo andare a suonare in posti strani che non avevo mai sentito nominare, dovevo comparire al “Saturday Night Live”... è stato terrificante, non ero affatto pronto per tutto questo”.
Easy però non è sinonimo di scarso, anzi. Il brano scorre vie molto piacevole in un perfetto equilibrio quasi-reggae con back vocals armoniose e divertenti e i soliti virtuosismi da capogiro alla sei corde. L'idea di base è che se hai il coraggio di guardare in faccia le tue paure ti accorgerai che non fanno poi tanta paura dopotutto e appunto ti ritrovi a chiederti “dove sono i leoni” che ti avevano spaventato. Ironico che proprio questo brano metterà Bruce di fronte alle sue peggiori paure.
“Incandescent blue” è un altro acquarello sonoro, dove predomina un basso molto jazzy e la chitarra quasi si nasconde. Anni dopo, descrivendo questa canzone, Bruce dirà che gli è stata ispirata dall'ascolto di un mendicante che suonava il violino tra i grattacieli, la combinazione del blue del cielo e della musica triste e solitaria di quel violino gli ha toccato il cuore, esattamente come descrive nella canzone: “Hear that lonesome violin play/ See the notes float up into the overcast/ and change to white birds as they sail on through/ and soar away free into incandescent blue”.
E finalmente si giunge alla bellissima e conclusiva “No footprints were we go”, per me una delle canzoni d'amore più belle di sempre: “Through these channels-words/ I want to touch you/ Touch you deep down/ Where you live/ Not for power but/ Because I love you/ So Love the Lord/ And in Him love me too/ And in Him go your way/ And I'll be right there with you/ Leaving no footprints when we go”.
È una contemplazione della donna amata, quasi in dolce stil novo, dove lui si accontenta di esserle accanto anche senza lasciare impronte, pur di essere con lei.
Insomma, mi sono un po' perso commentando le canzoni una per una, ma credo che fosse giusto perché in Italia pochi conoscono BC che è per me uno dei più poetici, versatili e geniali songwriter americani, nonché uno straordinario virtuoso. Questo disco è forse il più facile del suo primo periodo, ma è anche il più bello e maturo: perfetto per chi non lo conoscesse e volesse accostarsi al suo lavoro.
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