Il Riscatto


Come in quella fine estate dell'82 per il lavoro "Nebraska", nell'ottobre del '95 arrivava in punta di piedi il nuovo disco di Bruce.
L'emozione saliva lentamente mentre tenevo in mano il vinile che avevo trovato un po' fortunosamente. Subito mi saltò all'occhio l'assenza di John Landau (il co-produttore di sempre) nel lavoro del disco. Istintivamente pensai realizzato il completo controllo di Bruce della sua musica che da tempo vedevo un po' inficiato da Landau (a esempio il mancato unplugged a MTV).

Nessun brano singolo pubblicato prima del disco mi fece credere che "The Ghost of Tom Joad" Bruce l'abbia voluto far nascere silenziosamente e farlo camminare con i propri piedi senza nessuna promozione particolare e con poco interesse per il mercato. Una volta disse che avrebbe voluto che ogni suo nuovo disco si fosse trovato all'improvviso sul banco di ogni negozio.

Con i precedenti due dischi ("Human Touch" e "Lucky Town"), usciti nel '92, doveva/voleva dimostrare che la sua percorrenza artistica continuava con spessore anche senza la sua E Street Band. Con "The Ghost of Tom Joad" la dimostrazione/riscatto era unicamente per se stesso e per chi ha creduto nel tempo alla sua naturale onestà artistica; era un tornare sulla strada, scendendo dalla collina, senza nessuna corsa verso qualcosa, un lucido camminare con l'occhio di un uomo che vive in mezzo agli altri e che fotografa l'amara realtà della vita.
Anche successivamente, quell'incedere continuo e disincantato nel video di "Street of Philadelphia" creava un legame con il presente contemporaneo.

Nelle sonorità e nelle liriche di "The Ghost of Tom Joad" i trait d'unions con i precedenti "camminatori" sulla strada sono fortissimi: Woody Guthrie e Bob Dylan. In misura diversa lo era stato anche "Nebraska". Ancor più diversa in misura e in concept, lo è il recente "We Shall Overcome - The Seeger Sessions", ma sempre continuativo nella ricerca di certe tradizioni musicali americane.  
Però, il solo fatto che la cultura "americana" non ha una precisa origine, grazie all'immigrazione europea, da una visione più ampia di quello che è il nostro discorso.

Non possiamo quindi non considerare, Guthrie e Dylan, ispiratori di questo grande e bellissimo disco. Ricordo il piacere di trovare, in gran parte dei brani, le tastiere di Danny Federici al quel tempo un po' dimenticato, che assolvono e caratterizzano, dove non è lo stesso Bruce, l'atmosfera con un tappeto sempre presente. Gli arpeggi delicati, il violino, la pedal steel guitar, l'armonica e la voce di Bruce bella e calda come non mai fanno il resto. Se avessi trovato anche le chitarre acustiche di Miami Steve io non avrei chiesto nient'altro.

In qualche intervista Bruce aveva dichiarato di sperare di poter realizzare un disco acustico seguito da un tour nei teatri e la storia ci racconta quello che è poi successo. Grazie Bruce.

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