Dopo aver vagato per le strade di Philadelphia – premio Oscar per la migliore canzone originale e quattro Grammy nel 1994 –, Bruce Springsteen si incammina verso ovest e si ritrova catapultato in mezzo alla disperazione operaia della Rust Belt, la "cintura della ruggine", tra fabbriche abbandonate e città fantasma, un tempo cuore pulsante della nazione e dell’industria statunitense.
La fauna urbana che popola il racconto del Boss è composta da perdenti. Camminano senza meta; bivaccano sotto i ponti; dormono nelle loro auto; entrano ed escono di prigione. Il Paradiso può attendere: stufi di stare al verde, stufi di rigare dritto, “con un buco nello stomaco e in mano una pistola”, aspettano che sia il Diavolo in persona a condurli nelle fornaci dell’Ade per bruciare in eterno le loro anime.
Ispirato al romanzo Furore di John Steinbeck, The ghost of Tom Joad - voce, chitarra, armonica e poco altro - racconta un'altra America. Quelli degli ultimi, dei diseredati, degli homeless, oscurata dalle luci dei riflettori e dalle conventions patinate della Grande Mela, lontana dai reps e dai dem, dai Robinson e da Happy Days, dai predicatori e dalle parate del 4 luglio, campana a morto dell’American Dream.
Angelo vendicatore senza armi, lo spirito di Tom Joad veglia mestamente sui vagabondi che affollano le highways, senza casa, senza lavoro, senza pace e senza speranza, attendendo la notte per attraversare il confine, trattenendo il respiro per non soccombere, "aspettando il momento in cui gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi".
Una storia che nessuno ama sentire, perché non c'è il lieto fine.
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