Se, a partire dagli anni '90, grazie ai vari Lucarelli, Fois, Carlotto, e, ovviamente, Camilleri, il giallo all'italiana risulta uno dei generi letterari più frequentati da narratori consumati ed aspiranti scrittori, oltre che da pletore di lettori, ciò non toglie che, negli scorsi decenni, pochi scrittori si fossero cimentati nella stesura di mistery, noir ed affini. Gli appassionati potevano contare su autori di nicchia come Scerbanenco, Olivieri e pochi altri, nella consapevolezza che il genere era relegato alla paraletteratura, o, più prosaicamente, alla letteratura di "serie B", buona per edicole o per scaffali defilati delle varie librerie.

Fra i giallisti "da edicola" figurava (e figura) su tutti Luciano Secchi, autore che scrive e pubblica in proprio le storie del detective meneghino Riccardo Finzi, il quale, adiuvato dal carabiniere in pensione Ciammarica e, talora, dalla propria governante Pina, risolve misteri ed intrighi ambientati nella Milano bene come nei quartieri popolari. Il nome dell'autore vi dirà forse poco, mentre è nota ai più l'attività che il Nostro svolge nel mondo dei fumetti sotto lo pseudonimo di Max Bunker: ciò per dire che lo scrittore è solido, le storie spesso molto belle ed, in ogni caso, ideali per lo svago, meglio ancora sotto la calure estiva.

La forza dei romanzi del ciclo Riccardo Finzi non è tanto negli intrighi polizieschi, pur ottimamente congegnati, ma, soprattutto, nella ricostruzione del clima storico sociologico nel quale si inquadrano le vicende gialle e nella caratterizzazione dei personaggi, soprattutto se minori: l'interesse dei gialli è quasi più sulle relazioni fra Riccardo ed il sottobosco milanese che sulla ricerca del colpevole o sulla soluzione degli enigmi. Siamo, insomma, più dalle parti di Simenon che di Ellery Queen, senza ovviamente scomodare indebiti paragoni.

Viste le premesse, e lo stile popolare ed accattivante dei romanzi di Secchi, era naturale che il cinema si accorgesse di Riccardo Finzi, producendo, nei tardi anni '70, un film tratto dal primo romanzo dello scrittore milanese "Agenzia Investigativa", ed affidando il ruolo del protagonista all'allora divo della commedia nostrana Renato Pozzetto, con l'ottimo Enzo Cannavale nella parte di Ciammarica e l'azzeccata Adriana Facchetti nella parte della governante Pina, per la regia dell'indimenticato Bruno Corbucci.

Riccardo Finzi, giunto dalla provincia per aprire una sgangherata agenzia investigativa (grazie ad un diploma di investigatore acquisito "via posta"), conosce una avvenente ragazza del bel mondo milanese, che lo seduce con le sue grazie ed un comportamento disinibito. Quando, qualche giorno dopo l'incontro, apprende la sua misteriosa morte per investimento, il detective si mette alla ricerca dei colpevoli, scoperchiando i (molti) vizi e le (scarse) virtù dell'alta borghesia meneghina.

Se la base del film è di indubbio interesse, fornendo a Pozzetto l'occasione per discostarsi dai soliti cliché cui sembrava irrimediabilmente avviato alla fine del suo decennio più fortunato sotto il profilo artistico, ed il prodotto trasuda del tipico artigianato all'italiana (oggi desueto, per dirla alla Tarantino), il prodotto finale si discosta sensibilmente dai caratteri tipici del romanzo, concedendo troppo alla commistione con i classici topoi della commedia all'italiana ed annacquando il carattere innovativo della storia, oltre che l'amarezza di fondo che si prova leggendo il romanzo d'esordio di Secchi.

Mentre il libro può essere letto come una sorta di romanzo di formazione, in cui il giovane e sprovveduto provinciale scopre, nelle sue investigazioni, il lato oscuro della città che aveva visto come luogo del suo riscatto professionale ed umano, il film sembra perdere questo messaggio, affidando alle gag comiche di Pozzetto e Cannavale il ruolo motore del lungometraggio, nel quale il tessuto giallo passa inevitabilmente in secondo piano, fornendo essenzialmente l'occasione per uno svago comico nel solco delle tradizionali commedie dell'epoca.

Il film si lascia comunque vedere, risultando oggi indicativo del mutamento dei gusti degli italiani: se alla fine degli anni '70 il giallo poteva essere appetibile dal grande pubblico solo attraverso una commistione con altri generi che ne edulcorassero contenuti e messaggi (a prescindere dalle vicende dei thriller alla Bava, Fulci, Argento - rimasti quasi sempre film di "nicchia"), oggi un personaggio come Riccardo Finzi sarebbe ideale modello per fiction televisive, nelle quali sarebbe forse più facile recuperare l'amarezza delle sue storie, e l'ambiguità del mondo in cui il detective, quasi come "lucciola nelle tenebre", cerca di far luce.

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