Di emuli, imitatori ed eredi del compianto Jackson e del fenomeno Motown ne è stracolmo lo showbiz e in un'epoca dove il plagio mascherato a imitazione, le strombazzature considerate solenni omaggi alla memoria dei più e la moda dei copia&incolla su pentagramma rappresentano per le major la massima fonte di denaro è difficile apprezzare l'ennesimo carrozzone di artisti tutti uguali, palesemente scialbi e quasi fabbricati ad arte con lo stampino da pasticcere. L'originalità, la novità e la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di realmente "inedito" è sempre più una rarità che rischia di estinguersi inesorabilmente assieme alle specie protette del WWF, anche perché l'ascoltatore medio odierno, colui che staziona senza ombra di movimento di fronte a charts, tormentoni e successi estemporanei, non sembra neanche capace di riconoscere la qualità e separarla dal dischetto usa&getta utile solo per qualche sculettata di Ferragosto.
Il personaggio di Bruno Mars, solare ragazzotto hawaiano, non mi ha immediatamente profuso chissà quali sensazioni e ancora adesso non vado in brodo di giuggiole ascoltando i suoi brani. All'inizio Mars pareva l'ennesima caramella masticata e re-impastata dalle voraci dentiere dell'industria discografica, buono solo per qualche featuring di successo con colleghi/e più affermati/e e al massimo per un timido album di debutto: un giovanotto bonario, il classico rubacuori per teenagers in piena fase ormonale, abbigliamento easy e informale, canzoni sdolcinate (Just The Way You Are) oppure tragico-emozionali (Grenade), magari condite con videoclip impietosi (ricordate il ballo degli uomini-gibbone in The Lazy Song?). Eppure il novello marchio di fabbrica Mars ha dato uno scossone neanche troppo timido al pop, intascandosi decine di milioni di copie con i singoli Just The Way You Are e Grenade e altrettanti buoni riconoscimenti per il primo album Doo-Wops & Hooligans, lavoro che - confesso - non ho ancora avuto l' "onore" di ascoltare.
La strategia vincente di Bruno Mars, quella che gli ha garantito l'appoggio delle maggiori classifiche occidentali, si è incentrata sul rifiuto dell'eccesso pop à la Lady GaGa e sul recupero della semplicità e della basicità fatte a brano. Cavalcando l'onda della rinascita soul-R&B dopo il lungo dominio dell'elettronica in tutte le salse, l'hawaiano non ha fatto altro che mescolare fra di loro tutte quelle sonorità rinnegate e tralasciate da deejays e produttori synth in un minestrone assaporabile e digeribile senza troppi scossoni venerei. E il piatto forte della prima apprezzata tavola imbandita non può che venire riproposto, seppur con qualche variazione, in un secondo banchetto di massa: Unorthodox Jukebox, nuovo album dell'artista, rispecchia difatti la volontà di connubiare pop radiofonico ma non cacofonico, melodie dolci e spensierate, qualche venatura ghetto-hip hop, corpose spolverate funky-reggae e un pizzico di rock'n'roll senza troppi eccessi, il tutto confezionato in un buon disco di facile, veloce e indolore ascolto, perfetto per le classifiche tuttavia non sfacciatamente commerciale e artefatto.
Ciò che prevale nel post-debutto di Mars è l'assoluta pacatezza del mood di base che, quasi straordinariamente, non cala nella nenia soporifera e nella lagna da suicidio. Ed è così che tracce come If I Knew (una sorta di omaggio al soul-blues di Ray Charles), When I Was Your Man, struggente piano-ballad, e la romanticissima e quasi "natalizia" Young Girls rifuggono con ammirevole agilità il fatale baratro della patetica piattezza e della caramellosa melassa. Stesso discorso per i brani un po' più "dinamici": Treasure è un riuscito tentativo di intromettersi fra la disco alla Jamiroquai e il funky-blues filo Motown, Moonshine si immerge nella nostalgia rock anni '80 simil Spandau Ballet, il primo estratto (forse il meno convincente della tracklist) Locked Out Of Heaven miscela reggae, funky, R&B e persino qualche fragranza synth, Natalie funge da versione 2.0 della marcia straziante di Grenade mentre Money Make Her Smile osa un bizzarro idillio soul-electrorock.
Profondamente stupito da un album che sembrava promettere poco o nulla, posso azzardare una seggiola sicura nel parlamento pop per mister Mars, un personaggio apparentemente fastidioso, poco dinoccolato, finto romanticone da quattro soldi che in realtà propone un disco easy-listening eppure di buona fattura, genuino nel suo genere e onesto negli intenti. Che il mainstream (bi-genre) debba seguire tal ragazzotto e volgere il binocolo al paradiso semi-tropicale di Honolulu (che sarebbe altresì l'alcova dell'ammiccante Nicole Scherzinger)?
Bruno Mars, Unorthodox Jukebox
Young Girls - Locked Out Of Heaven - Gorilla - Treasure - Moonshine - When I Was Your Man - Natalie - Show Me - Money Make Her Smile - If I Knew.
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