Sulla scia di "Room Service" e dopo l'antologia arriva l'undicesimo album di Bryan Adams, undici canzoni ed intitolato proprio undici. Un numero probabilmente importante, sicuramente significativo per l'artista canadese, ma in quasi niente uguale ai vecchi successi, a testimonianza che il tempo passa per tutti. Forse Adams qui cerca sonorità diverse, aggiungendo qualcosa di pop e di elettronico al solito rock delle chitarre di Keith Scott, come già era stato fatto appunto per il precedente inedito, ma stavolta inoltrandosi di più in quello che la musica contemporanea chiede, svoltando pericolosamente verso il pop.

Le canzoni sono più o meno tutte uguali, tutte improntate sulle stesse liriche, sugli stessi ritmi e suoni; si fanno canticchiare ma nessuna realmente è un pezzo da successo, forse qualcosa da radio, ma di certo non nel nostro belpaese. Salviamo per onor di cronaca l'unico singolo "I Thought I'd Seen Everything", che può far pensare lontanamente a qualcosa di già sentito, mentre per il resto tutto si rifà a brani perlopiù melensi, rendendolo nel complesso un album scialbo, da ascoltare in macchina o nelle giornate di relax. Se questo era l'obbiettivo dell'artista, il che è facile a pensare viste le ultime produzioni, ci è riuscito in pieno, ma difficile che i vecchi fan possano digerire un altro album simile a "On a Day Like Today", entrambi ci mettono pochissimo tempo a posizionarsi sul fondo della classifica dei suoi migliori, ma magari ai nuovi fan può piacere, e, perché no, potrebbe attirare nuova gente a scoprire l'artista. I musicisti ci sono, l'album nel complesso è fatto bene, anche il packaging del disco è curato, la copertina semplice ma azzeccata, ma era necessario?

Forse meglio rassegnarsi a sentire le vecchie canzoni eseguite, magistralmente, solo dal vivo. Ma di questo non si può fare una colpa a Bryan, che sul palco non smetterà mai di stupire con i vecchi rock.

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