Nella mia stanza entra poco sole.
E' semplicemente buia, spoglia, i muri bianchi, perfettamente bianchi, direi anonimi. Senza valore, forse. Ma acquista luce, ogni mattina, quando, cullato dal cinguettio dei passerotti fuori nel mio giardino, apro le finestre. Specialmente in questo periodo, l'aria che entra è fresca e illuminata da un pallido sole. Come cantava Gino paoli, questa stanza non ha più pareti ma alberi. Acquista profumi inaspettatamente autunnali, dolci e pacati. E sebbene nella mia stanza ci sia ancora il letto sfatto, tutto sembra perfetto quando questa eterea luce mattutina e malinconica fa da padrona.
Se la musica potesse evocare una tale atmosfera, la ascoltereste? Se un disco, una canzone, un melodia potesse esprimere e disegnare sulla spoglie pareti di una stanza una simile sensazione di pienezza ma allo stesso tempo di completo vuoto la apprezzereste?
E' difficile naturalmente rappresentare un'emozione. Non voglio risultare retorico, né poetico, né filosofo. Rischierei di risultare eccessivo nel descrivere un brivido, una paura, una gioia, o una lacrima. “Electric tears”, appunto. Una maratona, una corsa, una passeggiata o una discesa nell'emotività dell'animo. Un sorta di rinascita, di risveglio di dolci pensieri e di emozioni confortanti.
L'autore di queste pagine sonore è Buckethead, lo stralunato chitarrista, autore di dischi visionari narranti mondi alternativi dominati da alieni o macchine. Qui è narrante delle mie più profonde emozioni. Forse ambient, ma dotato di sfumature blues, acustiche e a tratti jazz. Posso definirlo senza azzardare come “Colma 2”. Ne è fratello, ne è sicuramente gemello. Anzi, ne è decisamente superiore. No no.. non ci troviamo di fronte ad un disco catalogabile. Ci troviamo di fronte a poche note, pochi accordi che disegnano, colorano con troppi pennelli un mondo etereo ed estraneo alla realtà.
Come dicevo nell'introduzione, queste piccole gemme musicali riempiono, avvolgono lo spazio e lo rendono lucente ma ricco di ombre. Ricco di allegria e sentimento, ma come una medaglia, è dotato di una faccia molto più triste e intimista, malinconica sicuramente. Buckethead gioca con la sua chitarra: la fa cantare, la fa piangere, la fa gridare, la fa gioire e la fa soffrire, la fa straziare ma la fa anche ridere. Sicuramente la lascia parlare.
E se dovessi addormentarmi al tramonto ascolterei sicuramente “All in the waiting”, dolcemente arpeggiata, un dolce suono acustico da condividere con lo spazio naturale, e come contraltare notturno, al chiaro di luna, “Sketches of Spain (for Miles)”, una sorta di melodia simil-medievale, tributo al buon vecchio Miles Davis. Entra silenziosa qui una lacrima elettrica, il suono elettrico e soffuso della sua chitarra elettrica che subito dopo lascia spazio alla straziante “Padmasana”. La mente prende il volo in questo mondo fatto di realtà immateriale ma musicale. Solo onde sonore riempiono la mia prigione casalinga. “Mustang” è psichedelica. “The way to heaven” è la prima dolce freccia al cuore, nei suoi accordi spezzati mi fa sanguinare senza dolore. E mentre osservo il sangue sgorgare dalla dolce ferita, l'ascolto mi porta al battesimo della solitudine: “Baptism of Solitude” allevia le ombre donando luce. Le sue note dal sapore blues, leggermente distorte mi conducono oltre con il pensiero. E se la psichedelia torna con “Kansas Storm”, dai suoni molto elettronici, “Datura” riporta la desolazione e la desertificazione nel mio ambiente. Sinistra, claustrofobica, sicuramente oscura, da ascoltare sotto i cieli stellati notturni.
“Mantaray” aumenta la forte dose emotiva rincarando la dose di note sofferte e strazianti, così come “Witches on the heat”, lacrimante ballad blues ma arricchita dagli elementi dell'album: effetti soffusi, dolci tappeti di delay ed echi, distorsioni docili, calde e morbide. Nel buio continuo nell'ascolto, accogliendo a braccia aperte la sofferente chitarra acustica di “Angel Monster”, in attesa di perdermi nell'evocativa “Electric Tears”. Mi sento sperduto in cotanta oscurità. Per fortuna la notte sta per finire, e apro la mattina con “Spell of the Gypsies”. Sicuramente solare, ridente, dotata ancora di quel nero fascino notturno. Ma libera l'alba, e fa scaturire il sole.
Mi trovo davanti l'ennesimo disco riuscito di Mr. Buckethead.
Nel mare della melodia riesco a ritrovarmi, a godere un un attimo di silenzio. Un viaggio nella notte, un piccolo viaggio nelle oscurità emotive per risorgere alla luce, per ritornare all'allegria mattutina.
Da ascoltare e da amare, un disco che non smetterà di emozionare.
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