L'estate è il periodo degli accoppiamenti per il fuco maschio. L'ape regina controlla l'alveare, ed è l'obbiettivo di tutti gli esemplari maschi che altro non sono che semplici asserviti. Lottano come scemi per la conquista di quest ultima, con la quale fanno sesso fino alla morte, generando prole. Lo sforzo è così importante che poco dopo l'accoppiamento il fuco maschio cade a terra, sfinito, privo di vita. I pochi che sopravvivono, vengono scacciati dall'ape regina.

Non le ho mai reputate stupide. Anzi. Forse morire di sesso non è proprio nei miei piani, ma mi piace pensare che in quel preciso momento, l'ape si senta il centro dell'universo. E' che forse ci nascono così. Non hanno scelta, ce l'hanno dentro, codificato. Probabilmente sanno che una volta avercela fatta, non proveranno più l'ebbrezza del volo. Ma poco importa, lo fanno e basta, e una volta fatto, perdono la vita. Chissà, forse con la consapevolezza di esserci riusciti. Magari il suo sacrificio da modo a qualcun altro di nascere. Da un significato alla sua esistenza.

A volte la invidio l'ape. Non tanto per il sesso, forse anche, ma perchè sa ciò che vuole, lo sa e se lo prende. Paga il suo prezzo. Un prezzo spropositato, un prezzo che sovrappone la qualità alla quantità. Altre volte mi domando se invece ciò abbia senso. Morire così, all'improvviso... Ma la storia a volte ti da le risposte..

Perchè vedete, a volte può capitare che sali su un aereo e non torni più a casa. Che decennio di contraddizioni gli anni 50, in America. Gli Stati Uniti uscivano vincitori dalla seconda guerra mondiale, erano gli anni di una ritrovata serenità e di una strepitosa crescita del paese. Gli anni delle televisioni, gli anni della coca cola, gli anni di Marilin Monroe. Gli anni della non violenza di Martin Luther King, gli anni di chi mise in musica la serenità di cui c'era bisogno dopo un decennio impossibile, in tutto il mondo.

E quella figura la incarnava Elvis, la vera icona degli anni 50. Vedere quel bianco ballare come un demonio in ''Jailhouse Rock'' vestito da galeotto fece impazzire la nuova generazione, che ne assimilò modi di porsi e di indossare. Probabilmente i ragazzi erano già pronti a tutto ciò, tranne, forse, a quel tizio biondo che bruciava il pianoforte dopo l'esibizione. Eppure il colore della pelle risultava ancora maledettamente determinante, radicato in una cultura ancora troppo legata alle differenze razziali. E se eri nero e non eri Sam Cooke facevi una maledetta fatica a convincere qualcuno a darti una possibilità. ''Johnny Be Good'' e ''Tutti Frutti'', sotto questo punto di vista, non erano che il meglio il mercato nero potesse offrire, fino ad allora cicoscritto, fra Miles Davis e Muddy Waters, a generi musicali diversi e radicati al passato.

Nel frattempo, nel 1957, mentre tutti ballavano a ritmo di Bill Haley e di ''Rock Around the Clock'', un giovane ragazzo dalla faccia buffa e dagli occhiali spessi, suonava per i locali del Texas, con gli amici del liceo. Quel country e quel gospel erano insopportabili. Le case discografiche lo imponevano, era necessario. Fu forse l'incontro con Elvis ad aprirgli la strada. Ma i tempi non erano ancora maturi, sopratutto in una cittadina come Lubbock. Anche se ormai Presley-mania prendeva forma, il rock'n'roll veniva ancora additato come maligno e ostile. I genitori ne impedivano l'ascolto alle figlie, la chiesa lo considerava deviante e avverso per le nuove generazioni.

Buddy Holly appariva come un antieroe. La sua figura, a tratti ingenua, si contrapponeva a quella trasgressiva e selvaggia che andava per la maggiore. Quella di Elvis, di Little Richard. Vedere un occhialuto che poteva sembrare tuo figlio così consapevole dei propri mezzi diede un vero e proprio scossone al mondo della musica. Le apparizioni dal vivo lo ritraevano spesso in smoking o con una cravatta o con un buffo papillon nero. I capelli disordinati, la voce, chiara e pulita, che tendeva a balbettare, sussurrando leggeri scioglilingua. Aveva un inventiva fuori dal cumune, fu uno dei primi che si ribellò alle case discografiche ed impose alle poche che lo accettarono che si sarebbe scritto le canzoni da solo. Era l'altra faccia della medaglia.

Un giorno, mentre provava con Joe B.Mauldin e Jerry Allison, qualcosa non andava. Si sentiva un maledetto ronzio in sottofondo. E non era un nastro difettoso, bensì un grillo appollaiato da qualche parte. Da li presero il nome dei The Crickets (i grilli). ''That'll be the day'' fu il primo brano di successo. Il titolo prese in prestito una battuta da un film di John Wayne (''Verrà il giorno''). La chitarra pizzicava come non mai, la batteria batteva forte. Il successo fu strepitoso. Le hit fioccavano da un momento all'altro. ''It's so easy'' era elettrica, ''Words of Love'' segnò la strada ai Beatles, che ne fecero una cover. Non mancavano brani che tutti conoscono pur non sapendone ne artista ne titolo, come l'indimenticabile ''Everyday''.

Ma Lubbock era troppo piccola e angusta per un gruppo di ragazzi che volevano avere la loro possibilità. Il sogno aveva un nome, si chiamava New York. La grande mela era un idea dannatemente accattivante, era il perenne anelito. Era così avanti che dava possibilità discografiche agli esponenti del nuovo movimento musicale. Iniziò il periodo di maggiore fama. Buddy sperimenta tanto, inserisce nuovi strumenti, rischia qualcosa. Alterna apparizioni coi Crickets con apparizioni da solista. Il successo diventa planetario. ''Peggy Sue'', nome riferito alla fidanzata di Jerry Alisson, sale in cima alle classifiche. E' orecchiabile, forte e diretta. Mette d'accordo vecchio e nuovo pubblico. Buddy collabora con diversi artisti. Conosce Eddie Cochran, tragicamente scomparso nel 1960 in un incidente, e Ritchie Valens. Sposa Elena Santiago, ragazza portoricana, nell'estate del 1958, e andò in viaggio di nozze ad Acapulco. Il tutto, nel momento di maggiore successo. Successo che non durò più di 18 mesi.

Ritchie Valens non lo doveva prendere quell'aereo. Tommy Allsup, una vita da turnista, caccia dalla tasca una moneta. Esce croce. Andò ad avvertire Buddy che andrà lui in macchina, al posto di Ritchie. Con loro c'era anche Richardson, in arte Big Bopper. Tommy Allsup non sapeva che si era appena salvato la vita.

Era il 1959. Un pilota inesperto, condizioni di volo pessime. Maria Santiago aspettava un bambino, era al primo mese di gravidanza. Lei non voleva farlo partire, ci provò in tutti i modi, ma quel tour era troppo importante. Del Beechcraft Bonanza non rimase che qualche lamiera, tra i campi di granturco. Il primo tragico giorno della storia del rock. Qualcuno lo definì, il giorno che morì la musica.

Il 1959 non fu solo incidenti e Fiedel Castro. Per uno strano gioco del destino, fu anche l'anno nella quale, per la prima volta, venne esposto il simbolo della pace. Buddy Holly fu un ape meravigliosa. Visse la sua stagione, la spinse al massimo, fino al punto di lasciarsi andare senza rimpianti. Forse anche lui, ad un certo punto, si è sentito il centro dell'universo. Ma come l'ape ignora che perderà l'ebbrezza del volo, forse anche Buddy non era al corrente di quello strano patto fatto col destino. E il destino lo fece morire a 23 anni, ridandogli vita solo nell'immortalità che la sua figura e la sua musica avrebbe assunto negli anni a venire.

12 anni dopo Don Mclean mise in musica le riflessioni di quel giorno attraverso il dolore di di chi, giovane e ancora ingenuo, distribuiva i giornali informando di un incidente e di una sposa rimasta vedova. Non ricordò se pianse, quel 3 febbraio, da lui definito ''the day the music died''. Un brano che si presentava enigmatico sin dalle prime strofe, mai spiegato fino in fondo dal cantautore di New York. Ma credo che il signor Donald Mclean si sbagliava. La musica non morì quel giorno, tutt altro. A morire fu l'ape di Lubbock.

Il resto, fu rock'n'roll.

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