Bugo e Tricarico, Tricarico e Bugo.
Pazza idea di.... mettere a confronto due dei cantanti italiani più originali di questo momento, che spero tanto durino più di un momento. Era da un sacco che volevo farli "incontrare" in un dialogo a distanza, dal palco del Love Festival di Livorno dove li ho visti. Non se sia una procedura ortodossa, questa, per Debaser però ci voglio provare. Allora, Bugo di Trecate è istintivamente simpatico, io non lo conoscevo bene, ma ora posso affermare che davanti alle quinte e anche un po' dietro, vista la posizione in cui mi trovavo (di fianco allo Psycho Stage potevo buttare l'occhio) ha quello sguardo che mira completamente da un'altra parte! Con indosso gli occhiali da sole poi ricorda troppo un personaggio della Factory di Andy Warhol. Modello Wayfarer, viso spigoloso, magrezza esasperata, colori sparati, sembra proprio uscito da quel mondo. Quando canta invece pare quel quadro di Liechtenstein. Pop Art in movimento. Di lui ora che mi sono documentata meglio mi affascinano i titoli, tipo "Sentimento Westernato", "Golia & Melchiorre" e poi d'un tratto "Sguardo contemporaneo", che suona così importante rispetto agli altri. E' il tipo di musica che, devo ammettere, gli anglosassoni hanno di più nel sangue, perché hip - hop, elettronica ritmi ossessivi li praticano come fossero roba loro e penso che Bugo stesso si ispiri un po' a quella corrente lì. Secondo me da ragazzo ascoltava un sacco di rap e new wave. Però è diverso. Quest'anno ha pubblicato "Contatti" dove descrive la realtà in modo immediato, anche crudo.
Vabbè che lo faceva già in "Love boat", però anche "C'è Crisi" è molto diretta e sembra partorita in un lampo.
Parla spesso d'amore però in maniera mai scontata.
Volevo parlare di Bugo perché introduce bene Tricarico, o viceversa, chissà. Francesco si esibiva al Main Stage del Picchi, dopo di lui c'erano gli Elii. Una delle cose che mi sono rimaste più impresse era la luce che emanava: nocciola la faccia, abbronzatissima, gli occhi azzurri d'un luminoso che feriva lo sguardo e la maglietta bordeaux della Fred Perry. Non è la prima volta che si veste con quelle, si vede che gli piacciono tanto. Nell'insieme sembrava un rubino. In effetti credo lui sia davvero una pietra preziosa. Forse ancora grezza. Scoperta "La solitudine dei numeri primi", libro stupendo, mi sa che questo ragazzo lo è intrinsecamente un numero primo. Niente gli somiglia. "Vita tranquilla" è così sospesa e serrata dall'inizio alla fine che ho paura si spezzi quando la ascolto, invece "Fili di tutti i colori" è rock, costruita come una filastrocca. "Eternità" rimane irrisolta ed enigmatica fino alla fine, ma si capisce che si arriverà a un turning point. Sono i miei tormentoni.
Tutto sommato, seguendo un percorso di addizioni e sottrazioni e moltiplicazioni, mi sento di dire che Bugo racconta l'esistenza di noi tutti come se avesse la macchina fotografica, per flash e spunti di curiosità per il mondo, pazzo, che ci sta intorno. Mentre Francesco scava dentro un'esperienza, anche sua, approfondisce vicende molto personali, si fa domande come se giocasse al piccolo filosofo, inconsapevolmente, e si espone nei testi più che se rilasciasse cento interviste. Il primo mi ricorda "Ovosodo", il secondo "Au Revoir Les enfants" o "L'attimo fuggente". Uno è il lato A e l'altro il lato B. Ma no, sono unici. Delirio, deliro, delirio.
Vabbè, queste le mie considerazioni.
Prendetelo per quello che è, un divertissement. Come dicono quelli che se ne intendono.

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