Avrei voluto recensire ben altro, avrei voluto bestemmiare ed urlare la mia rabbia visto che ultimamente ho le palle a dir poco girate e visto che la mia vita riesco a viverla solo così (…che figo che sono!!!)
Avrei voluto recensire quei film cazzuti che nessuno si fila perché difficili, complicati, troppo sociali ma poi ci devi mettere in mezzo una marea di altre cose ed alla fine risulteresti il classico rompicoglioni che sfrutta la vetrina debaseriana per vomitarci dentro le proprie follie psicotiche e demenziali, e allora mi sono detto…. Ascoltiamoci del sano math-core!
Si, perché superata la settimana relax-neoimpressionista-depressiva con Helios immaginando di essere nella Resort Marlon Brando in Polinesia, è arrivato il momento di reagire e di scendere dalla mia amaca.
L’Hardcore ha in se il fascino di una moto da corsa; di quelle che serpeggiano tra tornanti velenosi e beffardi, di quelle che impennano tra due camion in corsa mentre ti stanno occupando le corsie e se ne sbattono, per poi quando essergli davanti mostrargli il medio.
Intenso, prolungato e quasi ossessionante in un ritmo avvincente e aggressivo… Se non lo controlli sarà lui a fottere te per primo, con tutti i tuoi clichè e buone maniere da animale ammaestrato, integrato in questa bella società Vittoriana.
Ha in se la capacità di richiamare i tuoi e i suoi istinti primari in un Thanatos Freudiano quanto mai ingestibile se non imbarazzante, anzichenò.
Generalmente coloro che si accostano a questo genere non hanno di certo feeling con le solite pratiche ascetiche, così in voga fra i frustrati schiavi, borghesi, ipocriti e ordinari (la gente normale per chiarirci: n.d.R).
L’aggressività, quella nostra, da psicotici-anticonformisti incazzati col mondo, si estrinseca fra gli antipodi dall’essere sdraiati su di un amaca, per poi schizzare sulla sella di una BMW S 1000 RR o di una Ducati 1198 R Special Edition con tanto di sculettata in accelerazione … Tanto che ti frega non paghi mica tu!!! E come diceva la Cuccarini i sogni aiutano a vivere meglio e noi del Club dei “Passionali” ne abbiamo di un gran bisogno visto che non abbiamo un gran ascendente sul nostro Marte.
Sarò/siamo patologici? Fino a quando non mi farò prendere da qualche ictus di ordinaria follia pomeridiana di certo no, ma se continuo ad ascoltare la musica del demonio, come additata dalle persone “normali” non potrò fare altrimenti.
Di sicuro un album con un titolo come questo “Soundtrack to the Personal Revolution” non auspica a propositi apatici, perché mentre questo muro sonoro vi verrà addosso non potrete fare a meno di restarne schiacciati se non siete iscritti anche voi nel Club dei Passionali, inoltre, essendo il loro primo album presenta sonorità più criptiche e spigolose rispetto ad un Heart of Darkness, più grindcore e melodico.
Tentare così, di definire ogni singola traccia all’interno di un unico concetto e genere è, al contempo stesso, limitare la capacità tecnica e creativa del gruppo che comunque c’è e si vede.
Capacità la cui pecca sembra essere però quella di rimanere vincolati ai dettami del genere evolvendosi si, ma all’interno di un contest tecnico variegato ma fin troppo schematizzato, oserei dire in una gabbia d’oro; basti vedere "Soundtrack To The Worst Movie Ever", "Boston Tea-bag Party", "Shooter McGavin" e "Famke" che si esemplificano in un grind/death metal estremo ed oscuro ma tutte caratterizzate dalla stessa struttura, prendono fiato a metà brano per poi ripartire e trascinarsi sul finire.
L’album in perfetto stile mathcore, pertanto si evolve fra completi cambi di tempo dettati da un Dave Witte come sempre sprezzante e distruttivo, in pieno command quando a contatto con sonorità che esigono capacità tecniche non indifferenti ma che hanno l’obbligo di stilizzare al meglio un compresso di generi che combinino Jazz fusion, hardcore punk a metal estremo; come "Dracula With Glasses", che in apertura presenta influenze nu-metal per poi esplodere con degli inserimenti di grind/death metal accompagnati da accenni di chitarra jazz.
Diverse invece appaiono "Dow Jones And The Ttemple Of Doom", "Mortimer", "Don Knotts" e "Human Steamroller" che riescono ad essere plastiche, ritmate e variegate con cambi di tempo che spiazzano l’ascoltatore, ma questa volta sostenute da sottigliezze nell’organizzazione del suono che contribuiscono ad una maggior compattezza tra chitarre e batteria ma anche con tratti melodici, il vero punto forte, che in album come questo sembrerebbe acqua nel deserto.
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