Il carcere è una fastidiosa presenza invisibile di cui si invoca la necessità ma della cui concreta esistenza nulla si vorrebbe sapere. Il carcere è un universo di corpi muti, è guardare il mondo attraverso finestre socchiuse, spioncini, sbarre, reticolati; lo sguardo non vede piuttosto fruga, rovista, ruba. Il carcere è attesa. L'attesa di risvegliarsi domani in un altro letto, in un altro posto. Il carcere non è ancora la morte, benchè non sia più la vita.

Le inferriate della cella non si erano ancora schiuse del tutto che Varg Vikernes, per tutti Burzum, aveva già indossato gli abiti da Gala con l'apprezzato ''Belus'', primo album da cittadino libero dopo 16 anni di reclusione. Dodici mesi dopo ecco arrivare implacabile il suo successore: ''Fallen''. Come molti di voi già sapranno, Vikernes è generalmente conosciuto sì per la musica ma in particolare per i suoi infausti e agghiaccianti trascorsi (un omicidio, roghi vari a a chiese...) e per i suoi punti di vista esasperati che ne hanno fatto dapprima un'ammiratore dell'occultismo nazista, in seguito un adepto di quello che oggi viene definito paganesimo nordico. Scindere l'aspetto musica/ideologia è sempre stato ambizioso per chiunque volesse avvicinarsi alla comprensione della blasfema arte del Conte (nomignolo che, se mai doveste incontrarlo, vi sconsiglio di usare in sua presenza) dacchè le sue opere sono sempre state legate a doppio filo con i propri ordinamenti; tuttavia vorrei provare a concentrarmi soltanto sull'inclinazione che mi preme maggiormente, tralasciando potenziali considerazioni e sentenze riguardo la moralità, l'etica o peggio ancora la politica.

''Fallen'' è la logica prosecuzione del discorso intrapreso nel 2010 con ''Belus'', ovvero il ritorno alle sonorità Black pagane a danno dell'ipnotica essenza Dark-Ambient dei due lavori ''penitenziari''. Una chiave di lettura quindi totalmente rivolta all'atmosfera sebbene trapiantata in un contesto Black capillare ed asciutto, ottenuto grazie ai morbosi e caratteristici riff circolari. Nessuno stravolgimento draconiano dunque. Solamente due piccoli dettagli che appaiono, incontrovertibilmente, assai eloquenti alle orecchie. 

Il primo. Burzum ha optato per un impiego più chirurgico e avveduto della componente melodica, accrescendo in questo modo il pathos delle composizioni ed ampliando il ventaglio di possibili colorazioni che i brani possono manifestare. In questo senso i registri vocali rilassati e puliti che in ''Belus'' facevano capolino ogni tanto, qui vengono enfatizzati molto di più a rispetto allo screaming demoniaco come dimostra a meraviglia ''Jeg Faller'', con il suo ritornello bisbigliato e quasi impercettibile.

Il secondo. Il Conte non ha mai fatto mistero di prediligere una consapevole esplorazione di suoni torbidi e rudi così come il genere fermamente impone(va). In ''Fallen'' egli da l'impressione di sdoganare definitivamente il proprio sound, spostando i paletti del Black diverse miglia più in avanti, peculiarità esclusiva dei padri fondatori. Esemplare perciò risulta la produzione (curata in prima persona) che tende verso lidi asettici ma rimane in un contesto antiquato, con la predilezione a soffocare la base ritmica esaltando invece quella chitarristica e la voce.

Con qualche ascolto in più sulle spalle, ''Fallen'' fa abbandonare la seppur fievole sensazione di avere per le mani un b-side del precedente album, facendosi largo con la solita intraprendenza compositiva (da brividi l'accoppiata centrale ''Vanvidd'' e ''Valen'') e con una lucidità formale inaspettata, piazzando un ulteriore mattoncino al sempreverde muro del Black Metal che ha le proprie fondamenta in Burzum stesso. Non fatevi ingannare dalla decadente copertina (dettaglio del dipinto ''Elegy'' di Adolphe-William Bouguereau), qui di Black ce n'è ancora a profusione; è solo in una veste più profonda, più disinvolta, ''spirituale'' che, come sempre, non mancherà di lasciare tante scie di entusiastica soddisfazione quanti gratuiti e pressapochistici conati di vomito.

Ma, alla fine, ciò che conta davvero è che la musica di Burzum, bella o brutta che sia, preziosa o trascurabile che appaia, possa rispondere ad una sola, inconfutabile parola: Libertà.  

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