Il 2 giugno 2014 venne dato alla luce il (ad ora) ultimo lavoro del progetto Burzum, creatura del “lupo di Bergen” Varg -ex Kristian- Vikernes, personaggio assolutamente fuori dal tempo e da ogni possibile canone artistico convenzionale. Non mi sembra il caso, e non serve ai fini della comprensione della sua opera, rivangare le vicende del suo passato o tratteggiare per l’ennesima volta i tratti della sua visione del mondo e della spiritualità, anche se anch’essi è innegabile, nel bene e nel male, fanno parte di Burzum. Chi conosce la storia in questione ha già un’idea e ha già deciso se farsi influenzare o meno da tutto questo fardello; secondo chi scrive comunque, la creazione va sempre giudicata sforzandosi almeno di fare appello all’eterna questione della scissione artista-opera, processo fondamentale per cercare di farsi trasportare e di abbandonarsi a quanto proposto, che si tratti di un quadro, una scultura o una serie di brani in musica.
Le vie di un tempo, questo il significato del titolo che Vikernes ha scelto di dare a questo suo ultimo lavoro, in copertina c’è un’incisione di Dorè, “Viviana e Merlino” chiusi da una cornice di svastiche (inutile dire che non c'è solo la connotazione del simbolo solare...). Per quel che riguarda le recensioni pezzo per pezzo rimando ad altri lidi, anche se pochissimi (forse solo Federico Pizzileo) hanno saputo analizzare con estrema accuratezza e rigore super partes tutta la discografia di Burzum, il tutto senza cadere nei soliti minestroni della critica saccente che analizza giri di chitarra, atmosfere, strutture portanti del pezzo e altre rotture di palle da tecnici del suono della sagra del metallo. La cosa è semplice, se cercate la perfezione stilistica, l’innovazione e la tecnica ascoltate altro, qui troverete le radici profonde e ancestrali del paganesimo tradizionale europeo, qui c’è l’eterno viaggio che azzera il tempo, se vorrete cancellare i pregiudizi e tenterete di abbandonarvi al sapore antico della “preistoria dello spirito” lasciate correre questo album più e più volte, altrimenti nessun problema, mettete altro nello stereo (non sto a fare nomi) e, semplicemente, non commentate a sproposito. So che questo non avverrà, ogni recensione su Burzum lascia dietro di se strascichi chilometrici di insulti, ironie da settimana enigmistica e feroci quanto sterili commenti su come e quanto Vikernes sia razzista, stupido, criminale e quant’altro, il suo progetto musicale è uno dei più massacrati e meno ascoltati della storia del panorama estremo dagli anni 90 ad oggi e questo perché più va avanti, più seleziona radicalmente il suo pubblico. Vikernes se ne frega delle mode e di eventuali “panorami” estetici, se ne frega di scene musicali e dettami di produzione, fa quello che ama e lo fa per chi riesce ad entrare nel suo mondo e per chi riesce, attraverso la sua musica, a ripercorrere proprio quelle “vie di un tempo” di cui parla nel titolo di quest’ultimo lavoro. Qui c’è trance sciamanica e invocazione, ci sono atmosfere adatte a chi ama la luce che arriva da ottobre a febbraio, per apprezzare queste sonorità e la sua proposta, è evidente, bisogna ANCHE amare la mitologia antica, bisogna sentire un legame con l’Europa (a prescindere dalla nazionalità) e bisogna avere almeno le basi del paganesimo di matrice germanica (due i mantra dedicati rispettivamente a Odin e Freyja), senza tutto questo si rischiano gaffe come quella di chiamare “sproloqui finali della voce narrante” la citazione del poema eddico “Voluspa” che il nostro fa nell’album Umskiptar, altro capolavoro distrutto dagli accademici della critica. Poi non importa l'orientamento politico, conosco persone che darebbero a Varg la sedia elettrica e che tuttavia ne apprezzano alcuni lavori senza riserve. dovessimo giudicare principalmente le persone, daremmo fuoco a gran parte dei nostri dischi senza pensarci troppo!
Concludo ricordando che nel lontano 1997, un famoso critico di MH (uno di quelli che inizialmente demolì Filosofem, salvo poi metterlo successivamente nel novero delle “pietre miliari”), rispose ad una mia lettera in difesa della musica di Burzum, dicendomi che da lì a pochi anni, tutti avrebbero ricordato Vikernes solo per i suoi misfatti, nessuno avrebbe ascoltato la sua musica, ebbene, dopo 20 anni quel critico è scomparso ed io ascolto ancora con il massimo trasporto i suoi lavori, certo “molti” lo conoscono solo per altro, ma in fondo che importa dei “molti”? Per quelli ci sono altre recensioni ed altri artisti.
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