Allora, già che un gruppo si chiama come il presidente degli Stati Uniti non merita l'acquisto originale, se poi la musica è uguale a quella che facevano nel 1994 ancora meno.
C'è da dire, però, che non è tutta robaccia quella racchiusa in questo disco.

Rewind: anno 1993.
Gavin Rossdale è una persona furba.
Capisce che in patria (Inghilterra) sta per scoppiare qualcosa che poi verrà denominato brit-pop. A lui non piace quel tipo di musica, insomma, a lui piacciono i Nirvana, i Pearl Jam, i Sonic Youth... altro che Blur. Nessuno accetta di firmargli un contratto decente se si ostina a suonare "quella roba".
Se Maometto non va alla montagna...
Aereo per gli U.S.A., nome ruffiano, fastidioso, sonorità grunge 100%, Kurt muore, scoppia una mania... (che culo), i Bush diventano, a cavallo tra il '94 e il '97 tra le band più trasmesse dalle emittenti radiofoniche rock del Nord America (io testimone).

Sixteen Stone (esordio) è un buon album rock che mescola la voce calda e rauca del frontman a sonorità dure e poco raffinate: Glycerine è un grande singolo che fa da apripista a vendite fino ad allora impensabili per la band.
Gavin Rossdale diventa sempre più furbo: pensa bene di accaparrarsi una bella bambina (un tantino kitsch, ma che vuoi se sei una celebrità tutto diventa oro, anche ciò che forse non lo è) di nome Gwen Stefani, guarda caso anche lei sulla cresta dell'onda con i suoi No Doubt e sempre sulla bocca di tutti in quanto celebrità di primo piano.
Soldi, successo, milioni di dischi venduti.
Si cambia qualcosa?? Gavin Rossdale non è stupido: quindi no.

FF: anno 2002.
Niente è cambiato, dopo qualche parentesi di mercato deludente, tipo l'uscita di Razorblade Suitcase (Swallowed era però un grandissimo singolo) i Bush tornano con Golden State.
L'album è rock grezzo, grunge in alcuni tratti, forse leggermente meglio curato in alcune sonorità ritmiche, specie nelle ballate (Inflatable) o in alcuni piccolissimi sprazzi elettronici di sottofondo per coprire defezioni sonore che rimandano ad un rock passato di moda, che non fa più nessuno.
È comunque un album che ha i suoi pregi: il singolo, "The People That We Love", è più aspro e tagliente, meno massiccio degli altri precedenti; ci sono più ballate o canzoni meno arrabbiate del solito, la voce del frontman è sempre quella (può piacere o non piacere ma è comunque notevole).

Se avete ascoltato qualcosa dei Bush in precedenza e vi era piaciuto allora vi piacerà anche questo lavoro, perché questo è un gruppo che rimane fedele alle proprie sonorità.
I testi parlano sempre di fuggire braccati non si sa da chi, di città incasinate, di trasformarsi in persone nuove e più arrabbiate (per fare che poi??); la batteria è suonata un po' in stile Foo Fighters (molto marcata e aggressiva ma soprattutto, in alcuni tratti, molto suonata sui piatti).

Insomma... disco buono per fare un po di casino senza pensare troppo al resto.

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