Tante, troppe, le sciocchezze lette a proposito dei Bush.

La clamorosa accusa di somiglianza/imitazione mossa dalla stampa a Gavin Rossdale nei confronti del defunto Kurt Cobain, mi ha sempre trovato in disaccordo. Un attento ascoltatore e conoscitore del trio di Seattle capisce che gli inglesi Bush hanno attitudine e carattere completamente diversi dallo stile Nirvana. Il timbro vocale? Sai quanta gente ha timbri vocali simili, non è una novità. Una band inglese che in quel periodo decise di andare controcorrente rispetto al tipo di sound in voga (Madchester, Britpop).

Ulteriori accuse furono mosse riguardo questo Razorblade Suitcase, prodotto da Steve Albini (facile intuire), che curiosamente affermò di non essersi mai impegnato tanto quanto nella realizzazione di questo progetto.

L'approccio è diverso rispetto all'esordio Sixteen Stone, qui infatti il tipico metodo del famoso artista americano mette in risalto i colpi inflitti alla batteria e quel garage sound che personalmente adoro.

Personal Holloway e la voce filtrata agonizzante introdotte da quello che sembra il ringhiare di un lupo danno il benvenuto e mettono le carte in tavola presentando travolgenti e sporchi riff.

Episodi leggermente più romantici, incentrati su problemi di coppia, o quasi nelle note Swallowed e Cold Contagious.

Incazzata, intermittente Insect Kin forse come mai fino ad allora.

Il Razorblade Suitcase è il bagaglio emozionale che il leader porta con se in giro per il mondo.

Rasoi, graffi che tramite semplici parole articolate in frasi ad effetto mostrano, sorrette dalla sempre presente linea di basso, l'abisso su cui è incentrato l'argomento.

Punto di forza del gruppo quello di aver sperimentato ed amplificato praticamente in ogni album successivo un cambiamento costante.

Un album figlio di quegli anni '90 exploitation di certa sofferenza repressa.

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