In questi giorni di vacanze e scuole chiuse, a casa Boom si guardano un sacco di cartoni animati.
Nell’ultima settimana, poi, si guarda praticamente solo “Encanto”, che è il filmone del 2021 della Disney – Pixar.
A livello tecnico non c’è molto da dire. Non fosse altro perché tutto è stato già detto e, se non è stato detto, ve lo potete facilmente immaginare.
Il film è uno spettacolo per gli occhi. Si sfiora in più occasioni la vera e propria saturazione di “cose” a schermo, di particolari, di colori. Le animazioni e i movimenti dei corpi, ma soprattutto dei vestiti femminili, stanno dalle parti dell’incredibile. Peccato che, invece,il character design dei volti sia particolarmente accattivante e che, addirittura, i personaggi secondari e alcune comparse sembrino addirittura saltare fuori dall’animazione del decennio scorso.
Sulla colonna sonora e le canzoni ci sarebbe da fare un discorso lunghissimo.
In generale, io odio gli adattamenti italiani delle canzoni Disney. Non è colpa dei traduttori: io capisco che possa essere un vero casino coordinare testo, recitazione, animazione, trama etc etc. Anzi, probabilmente quello che si sente è davvero il migliore dei risultati possibili. Ma alcune forzature nella costruzione dei versi e alcune scelte lessicali mi scuciono la fodera dei coglioni da quando sono ragazzino. Tipo: ho scoperto qualche tempo fa che “Let it go” di Frozen ha avuto più ascolti di un disco di Gigi Finizio in un puntata de Il Boss delle Cerimonie e che la versione italiana è apprezzatissima. Io odio anche quella.
Gli adattamenti di “Encanto” non fanno eccezione. Solo che, com’è come non è, non riescono a smettere di canticchiare tutto il giorno “Non si nomina Bruno” e ho deciso che il mio obiettivo per il 2023 è imparare a memoria il test de “La famiglia Madrigal”.
Ma perché sto spendendo tutte queste parole per un cartone animato della Disney?
In verità perché è l’unico film che ho visto da tre mesi a questa parte.
Poi perché è il 03 gennaio e sono in ufficio e non ho voglia di fare niente.
Ma soprattutto perché, a pensarci bene, tutti i personaggi di “Encanto” stanno veramente messi male di testa.
C’è Mirabel, la protagonista, che ha 15 anni ed è l’unico membro della famiglia a non avere alcun “talento”. Ha imparato a fare buon viso a cattivo gioco alle battute stronze dei vicini e al malcelato sadismo con cui i suoi parenti non perdono occasione per ricordarle il suo essere l’unica normale in una famiglia di speciali, ma intanto odia la sorella e viene quotidianamente mortificata dalla nonna materna.
C’è, appunto, la matriarca, Alma “Abuela” Madrigal: egoista, dispotica e disposta a sacrificare tutto e tutti per mantenere lo status quo. C’è Isabela, che vive da sempre con l’ossessione della bellezza e della perfezione. C’è Luisa, fortissima fisicamente, ma fragile di indole. Dolores, che è segretamente innamorata di un uomo che nemmeno sa che lei esiste. C’è Bruno, il reietto, che vive da anni in solitudine, in mezzo ai topi, incapace di allontanarsi da quella stessa famiglia che lo ha escluso e vittima di sdoppiamento della personalità. Ci sono anche due uomini, senza poteri, che, ovviamente, nulla contano e nulla obbiettano e che, forse per amore forse per inettitudine, si sono subito arresi all'idea di non avere alcun peso specifico nelle dinamiche matriarcale dei Madrigal.
In generale, tutti i personaggi si ritrovano imprigionati in un una sagoma monodimensionale, impostagli fin dalla giovane età dalla vita, dal destino o dalla famiglia, alla quale non riescono a ribellarsi o dalla quale non hanno il coraggio di uscire. La vecchiaccia maledetta tiene tutti sotto scacco: nessuno osa contraddirla, tutti vivono nel terrore di non essere all’altezza delle sue aspettative o del ruolo che è stato loro cucito addosso dal talento speciale con cui sono stati maledetti.
Porca vacca, io sta roba l’avrei voluta vedere in mano tipo ad Aronofsky, Haneke o, comunque, a uno di quei registi sottoni, esperti di drammi famigliari irrisolti, che finiscono a lame in pancia e ginocchia spaccate con le mazze da baseball.
Mi immagino le tensioni per anni trattenute a mascella serrata, le vene che pulsano sulla fronte. la paranoia crescente, l’evento banale che ad un certo punto fa deragliare le brocche, il massacro domestico che ne deriva e il gran finale con la testa della vecchia infilzata su una picca e la telecamera fissa mentre un ghigno soddisfatto si allarga sulla faccia insanguinata della protagonista…
E invece mi devo sorbire una trama un po’ fragilina, ma soprattutto un finale stucchevole nel suo essere oltremodo conciliante, inutilmente corale e che, a ben vedere, risolve poco o nulla.
Però per i bambini è una bomba.
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