"Encanto", 60esimo classico Disney, uscito in condizioni proibitive durante la stagione più dura del Covid e accolto da critiche non proprio benigne è un bel film. Ammesso che si amino i musical e ci si conceda un viaggio nella fantasia in cui nulla è reale e in cui l'irreale è sogno.
I punti deboli risiedono quasi tutti nella sceneggiatura, firmata da Byron Howard e Charise Castro Smith, ha il vezzo, non pregevole, di divagare e buttare in scena troppe figure, tanto che l'effetto spaesamento, nei primi 20 minuti, è palese. Epperò le vicende della famiglia Madrigal, e dell'iinnominabile Bruno, appaiono è vero un po' fragili ma coloratissime e piene di vita.
Il formato musical è evidente, ma il ritmo non ne subisce conseguenze e non di rado ci si trova a trepidare per le avventure di una famiglia fuori dall'ordinario (la lunga scena di preparazione per la sera in cui verrà svelato il talento del Madrigal più piccolo). Perchè, in effetti, il discorso sui talenti (che a volte, spoiler, sono l'essere normali) non è un discorso campato in aria, e non è un messaggio così spregevole soprattutto se indirizzato ad una fascia di pubblico di giovanissimi. Il contrasto tra il coloratissimo mondo Madrigal e l'oscurità di Bruno funziona alla perfezione, e le canzoni assumono, spesso, la forma di raccordo narrativo (e non, dunque, semplice momento canoro) come non si vedeva da tempo in un prodotto Disney.
Senza contare, elemento non da poco, che, una volta tanto, il "cast" femminile non è solo in ossequio al Me Too o ad una moda passeggera, ma è perfettamente incastonato all'interno di un prodotto in cui non esistono cattivi nel senso stretto del termine ma esistono cattivi che ci portiamo dentro.
Ne capisco le critiche, capisco chi mal sopporta il musical e dunque si troverà a disagio davanti ad un film in cui si canta molto, ma l'insieme è molto più che piacevole e, non tanto in fondo, piuttosto divertente.
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