Andiamo con ordine. Non sono "i" Cabaret Walter, semplicemente perché non si tratta di un gruppo. Cabaret Walter è un collettivo di Lille a cui piace giocare con il dadaismo. Già il nome richiama il più celebre Cabaret Voltaire e non solo: l'opera che si sono prefissi di compiere è quella di creare "un cadavere squisito", ovvero il concetto surrealista della perfetta opera d'arte dove ogni artista prosegue il lavoro dal punto in cui il suo predecessore l'ha lasciato.

Progetto sofferto e dalla lunga gestazione: le basi sono state lanciate nel 2001 e le tracce si snodano e si susseguono cronologicamente da allora fino all'agosto del 2004. Le regole dettate sono poche: la durata del pezzo dev'essere compresa tra i tre ed i cinque minuti; l'artista deve essere all'oscuro degli altri pezzi, tranne quello del suo predecessore; ogni brano si deve chiudere con la ripetizione di uno o due strumenti, da cui riprenderà il brano successivo. Quasi tutte le canzoni sono rigorosamente home made e la riuscita è straordinaria, si fondono alla perfezione l'una con l'altra.

I padroni di casa si riservano l'onore di aprire le danze, sotto il moniker L'Ouvreuse. "La porte du cabaret conduit à l'hôpital", canzone tenue e parzialmente elettronica, già dal titolo è una dichiarazione d'intenti e della direzione che il disco prenderà. La seconda canzone comincia senza che sia possibile distinguerla dalla fine della precedente. L'opera si sviluppa seguendo questo ideale fil rouge che con Rudy Trouvé (di belgica fama) assume toni più cupi, con un giro di chitarra che si ripete ossessivo per tutta la durata della canzone. E così via, passando dagli echi eterei e sognanti di Dominique A ("Á la Suite") alle note tropicali di Naïm Amor ("Club Tropicana"), davvero un peccato che quest'ultime stonino un po'.
Ci pensano i Dirty Three a riportare nei ranghi la situazione con un pezzo che sfiora il limite massimo della durata consentita: una canzone ipnotica ed interamente strumentale che poi sfocia nella lucida follia dei carnascialeschi fasti di Peter Vermeersch. Un viaggio nel tempo e nello spazio che ci porta dalla Francia del 2001 al Belgio, fino all'intensa e polverosa Australia, per concludersi nella corale America dei Black Heart Procession nel 2004.

Quasi come guardare fuori dal finestrino di un treno, studiando con attenzione le lente e graduali trasformazioni del paesaggio. Un sogno lungo quasi 40 minuti, un percorso omogeneo ed appassionante, malinconico quanto basta.

… mai visto un cadavere così squisito.

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