"Gaetano mi ha detto che viviamo nel ghetto ma nel mentre io penso che/ se io dormissi disteso sul tuo lato del letto io forse sarei te/

volevo avere dei figli ne troppi ne pochi nè è tardi nè domani/ ma ad ogni inverno che avanza tu vuoi aprire un'azienda che fa tende con le mani

le ho fatto una svastica in centro a bologna ma era solo per litigare /non volevo far festa e mi serviva un pretesto per lasciarti"

Parte con queste strofe, Mainstream, secondo disco di Calcutta pubblicato circa due anni orsono, Calcutta, giusto paradossalmente alle luci della ribalta solo in tempi recenti con brani di tutt'altro tenore ( Oroscopo, ad esempio). Calcutta, cantautore romano di cui già se ne sono dette anche troppe, capace di dividere e spaccare in due pubblico e critica:proprio vero che o lo si odia o lo si ama.

Ma lungi da dedicare un intera recensione alla sola figura di un artista che ne ha già dette troppe e forse, chissà se ne avrà ancora altrettante da dire, risulta probabilmente molto più importante focalizzarsi nel fornire una valutazione diretta del cd.Primo appunto:troppo corto. Appena undici traccie per nemmeno trenta minuti di ascolto.Nell'epoca di spotify di certo non si aspettava un album doppo, ma di certo, cosi la sensazione di essere stati presi per i fondelli è abbastanza forte.Secondo appunto: ben due intermezzi strumentali di dubbia qualità.Terzo appunto: concept stereotipato.Infondo, come Lou Reed in Berlin e altri prima di lui, Calcutta non fa altro che parlare di un amore che finisce (male) per tutta la durata dell'album sebbene non con la stessa prosa lirica e poetica posseduta da cantautori di tutt'altro spessore.Si coglie ad ogni modo una vaga dolcezza nella ballata "Ma che mi manchi a fare" , indubbiamente, assieme a Gaetano, il pezzo più riuscito del disco, ma senza il pathos, la tragedia, senza il viaggio senza ritorno nelle turbe e tra le pieghe dell'animo umano. Restano, alla fine della fiera, i rimasugli del doposbronza di un rapporto, come il sapore di un drink che hai in bocca la mattina seguente dopo aver trascorso una notte di baldoria. Limonata è infondo quel sapore aspro che resta nella gola, dopo incomprensioni reciproche, dettate dal non voler essere (o diventare?) quel tipo di persona noiosa dal quale, durante le notti brave trascorse a bighellonare in giro per i Navigli di Milano, ci si vuole allontanare ad ogni costo.Frosinone, invece parla della tragedia delle albe silenziose, con la pizza in cameretta, tipiche degli studenti universitari.Del verde; una preghiera o una sorta di serenata, un ultimo tentativo disperato di lasciare immobile il passato, di rinunciare a questo posto fisso (ma beato te Calcutta!) per restare immerso, ancora un momento, nel verde insieme a lei, la sua (o tua, mio caro ascoltatore?) Beatrice. E via dicendo, cosi, si parla di amore nel 2015 ma anche nel 2017, con quei modi e timbri che ti ricordano un pò la new new wave americana (Mac De Marco, in primis) fatte di campionature e ritmi 90's da sala giochi, con l'occhio giusto per sonorità che richiamano movimenti estetici del momento( qualcuno ha detto Vaporwave?) e non possono, in certi momenti non farti pensare a quel fare profetico di chi si fa portavoce di sfighe di un intera generazione già raccontate da altri celebri antesignani del buon Calcutta ( che in taluni momenti pare scimmiottare Venditti).

Insomma, questi soldi, teneteveli stretti, ma Calcutta, però ascoltatelo e fatelo bene, perchè nonostante Mainstream non sia per nulla un album di quelli da esibire, fieri, tra la propria collezione, con ben poco, ha purtroppo sin troppo da dire.Infondo, anche per Kurt Coibain è valsa la stessa regola: o lo si ama, o lo si odia. Qualcosa dovrà pur dire, no?

Uno spaccato culturale.Antropologico.

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