Che i Calexico stessero apportando dei cambiamenti all'interno del loro sound era cosa ormai risaputa fin dalla loro collaborazione con Iron Wine, ma è con questo nuovo album che il tutto si concretizza.
John Convertino e Joey Burns, la vera anima creativa della band, nonchè leader indiscussi della stessa, hanno deciso di attuare una profonda rivoluzione all'interno dell'universo Calexico. Abbandonate le atmosfere desertiche e immaginifiche che avevano caratterizzato i lavori precedenti, e in particolare il loro capolavoro "Feast of wire", i due si divertono a sconfinare nei territori del rock alternativo iniettandolo di forti dosi di pop e country.
Riposti i fiati mariachi nelle custodie, l'attenzione dei nostri si è infatti concentrata sulle radici della musica americana, allontanandosi dai territori jazzati e dalle atmosfere dilatate degli esordi. Dal tex mex e dalla border music messicana degli esordi si è arrivati a un country rock malinconico e introspettivo, per un disco che risulta essere una della loro opere più rischiose e mature. L'apertura è più che mai sontuosa, merito del meraviglioso arpeggio acustico di "Cruel", che sfocia in un brano dalle forti atmosfere country condito a dovere con una pedal steel suonata dal profondo dell'anima. L'epopea western e i grandi spazi aperti americani non sono più quindi al centro dell'universo compositivo e musicale calexichiano ma bensì fanno da sfondo per un nuovo amalgama sonoro, forse a tratti più introspettivo e emotivo che in passato.
"Yours and mine" si addentra nei territori del folk più cantautorale, impressionando per purezza e bellezza, con la bellissima voce di Burns a condurre i giochi e una soffice ma sempre varia batteria a completare il tutto. Dedicata alla cittadina di Bisbee, dove è stato registrato il disco, "Bisbee blues" è un blues folk screziato di malinconia pop ma dotato di una melodia che cattura fin dal primo ascolto.
"Panic open string" ricorda il miglior Neil Young solista, per la semplicità dell'arrangiamento arricchito in questo caso dalla presenza di archi mai invadenti ma anzi ben dosati e ricchi di fascino. Decisamente più tesa la seguente "Letter to Bowie Knife", uno dei pezzi rock più incisivi del disco, che seppur partendo in sordina esplode in tutta la sua potenza dimostrandoci che i nostri non si sono dimenticati del loro passato. Un brano trascinante con tutta la band che gira a mille, trovandosi a occhi chiusi. Le atmosfere latine e mariachi degli esordi vengono risvegliate dal letargo in cui erano state fatte cadere per riemergere in tutta la loro bellezza in "Roka (Danza de la muerte)". Un brano dal forte sapore latino arricchito dalla presenza alla voce della cantante spagnola Amparo Sanchez e condito con fiati e atmosfere rilassate e dal forte impianto jazzistico, con il piano che la fa da padrone. Un piccolo viaggio musicale ad alto tasso emotivo lungo la frontiera americana al confine con le antiche e profonde tradizioni musicali del Messico. Una sorta di ponte ideale tra le sonorità messicane e quelle cubane espresse negli anni dal collettivo dei Buena Vista Social Club, assolutamente memorabile.
Splendide le armonie vocali di "Lucky dime", per un leggero acquerello pop, suonato in punta di dita ma che emoziona fin dall'inizio. L'alternarsi e l'amalgamarsi delle voci nel ritornello è semplicemente da brivido, il tutto suggellato da onirici assolini di chitarra. Sulle medesime atmosfere rilassate si espande la seguente "Smash", nuovo viaggio all'interno dell'anima musicale più folk e roots dei nostri, con la voce di Burns a farci da guida e una lieve pedal steel a spruzzare di magia il tutto. Molto bello è anche il crescendo centrale, trainato dalla batteria, per poi fare ritorno alla melodia iniziale. "Deep down" è invece una pop rock song dal ritmo incalzante, aperta da un giro di chitarra acustica travolgente per poi crescere in potenza e velocità nel finale.
Decisamente più oscura e tenue è la rallentata "Nom de plume" dai forti sapori francesi con il banjo di Martin Wenk e la batteria di Convertino a condire il tutto. Parte lenta e introspettiva invece "All system red" per poi allagarsi a torbide atmosfere elettriche cariche di feedback, con ampio spazio all'improvvisazione per quello che è sicuramente il brano più rock del disco. "Landing Field" e "Cast your coat" sono due bonus track dall'elevato tasso emotivo e dal grande valore che non sfigurerebbero affatto come vere e proprie canzoni del disco. La prima è una bellissima ballata pianistica eseguita dal solo Joey Burns, che ha in questo modo l'occasione di mettere in mostra tutto il suo talento di songwriter nonchè la sua bellissima voce. La seconda invece è una sognante e stralunata composizione dello stesso Burns coadiuvato da synth e da vibrafono.
Degno di menzione è anche il dvd annesso al disco (nella versione digipack), che ha il pregio di mostrarci la realizzazione dell'intero disco nonchè un'intervista con i due leader e l'intera band. I Calexico hanno compiuto con "Garden ruin" forse il loro passo più ambizioso, ma hanno dato alla luce un disco di grande spessore e di una bellezza disarmante. Un album che fin dal primo ascolto vi conquisterà ed emozionerà. Un grande plauso va quindi ai nostri eroi! Bravi, Bene, Bis!
Carico i commenti... con calma