Sono un grande appassionato di musica elettronica, penso che tra tutti i generi sia quello che più riesca a farmi "trascendere" a un altra dimensione, ma finora il mio interesse è rimasto limitato alla scena anni '90, la techno, il trip hop... e ai grandi nomi quali Daft Punk, Orbital, Prodigy, Chemical Brothers e Fatboy Slim.

Incuriosito dalle sempre più frequenti figure di Dj internazionali che negli ultimi anni, come vere e proprie rockstar, riempiono i festival con folle oceaniche, ho deciso di ascoltarmi l'ultimo disco del signor Calvin Harris, produttore scozzese che negli ultimi anni sta scalando le classifiche affermandosi tra i disc jockey conosciuti in tutto il mondo.

Prima osservazione: il disco non è affatto un album, è praticamente una compilation con i suoi singoli di maggior successo degli ultimi 18 mesi (vedi il titolo). Per mascherare un po' le cose il sig. Calvin ha ben pensato di inserire tra un singolone e l'altro alcuni brevi pezzi strumentali (Mansion, School o l'intro Green Valley ad esempio) di valore artistico praticamente nullo. E già qui mi chiedo se non sarebbe stato meglio tagliare il tutto per evitare un lavoro con 15 tracce totali, ma di cui solamente 6 o 7 davvero utili. Lo stile è un misto di semplice dance commerciale unita a synth pop, che segue il classico schema di strofa iniziale leggera e cantata seguita da un ritornello sostenuto da semplicissimi riff alla tastiera: niente di esaltante, ma comunque qualche spunto originale riesce stranamente ad emergere.

I singoli che ha deciso di raccogliere sono frutto di collaborazioni con artisti ben noti: tra questi la mediocre We Found Love insieme a Rihanna, Bounce con la cantante Kelis, Here 2 China assieme a Dizzie Rascal e infine Sweet Nothing, l'unica canzone che potrei definire davvero interessante e ben prodotta, impreziosita dalla bellissima performance vocale di Florence Welch. A conti fatti il disco fila via abbastanza liscio, i momenti davvero brutti sono solo innocue tracce di pochi minuti, e almeno 3-4 pezzi meritano la sufficienza. La sensazione è che si può fare decisamente di meglio, ma forse Calvin Harris ha già ben capito che gli bastano un paio di note e un paio di collaborazioni per vendere e fare serate. 18 Months dunque si becca una bocciatura, anche se le mie perplessità, parecchie, sono perlopiù dovute al fatto che costui è tra i Dj più acclamati non solo in Europa, ma anche in tutto il panorama mondiale.

Non mi piace fare il nostalgico, mi sono ascoltato questo disco per cercare di farmi piacere qualcosa di questi anni '00 e '10, ma purtroppo ho capito una cosa: la musica elettronica che va di moda oggi è davvero poca cosa, non basta mettere su una canzonetta e alzare le mani da dietro la console per potersi definire dj! Capito?

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