"The Snow Goose", il concept d'atmosfera completamente strumentale, aveva raggiunto il #22 nelle classifiche inglesi, portando ai Camel molto pubblico e nuovi impegni concertistici. Però pressioni superiori li spingono ad accantonare le eteree impressioni per soli strumenti e a realizzare un album più convenzionale e di stampo più marcatamente progressivo. E' il 1976: forse alcuni lo hanno già intuito, ma la fine del sogno è alle porte, la maestosità del prog, cresciuta a dismisura, sta per crollare sotto il suo stesso peso; gruppi come ELP o King Crimson sembrano ormai repentinamente e definitivamente usciti di scena, ma ci sono anche gli ultimi colpi di coda. I Genesis si riscoprono grandissimi musicisti anche se abbandonati dal loro frontman, gli Yes stanno per tornare in studio, molti altri non molleranno la presa così facilmente, e tra questi i Camel che danno alle stampe un ennesimo capolavoro.

Anche Moonmadness è, seppur sottilmente, sorretto da tematiche concept, che vanno secondo due letture diverse. In primo luogo quattro dei sette brani sono studiati per rappresentare le personalità dei musicisti: Air Born rappresenta Latimer, Lunar Sea Andy Ward, Chord Change è Peter Bardens e Another Night diventa Doug Ferguson. Ma secondariamente, proprio come ci suggerisce il titolo, l'album sembra presentarci l'uomo che guardando la Luna si lascia stregare dalla sua magnificenza e lontananza, e sogna di raggiungerla.

Si inizia con la contemplazione: "Aristillus" infatti è con Autolycus uno dei più grandi e riconoscibili crateri del lato illuminato della Luna, e le note della breve marcetta ci conducono in alto, nel freddo siderale verso il lontano satellite e verso di loro, mentre la voce di Ward, filtrata e robotica, ne ripete i nomi. A seguire troviamo una delle canzoni più belle dei Camel, "Song Within A Song", che rappresenta un soffuso elogio prima del sogno e della notte, l'unico momento in cui l'amata Luna compare ai nostri occhi, e poi della musica stessa. Comincia in maniera rilassata, con dolci tastiere, assoli di flauto e batteria raffinata, e si dispiega come il cielo nel magico ritornello dove la voce filtrata di Ferguson intona la sua poesia. Poi nella seconda parte si fa più decisa, concitata, la voce lascia spazio ai densi assoli di Bardens e alla chitarra ritmica: la canzone e la notte hanno il loro inno.

La strumentale "Chord Change", colorata con sfumature jazz fusion si presenta come un brano molto vario, ma suonato con rilassata e pregante precisione: qui una prima parte più frenetica  lascia spazio a una seconda dove due lunghi e sereni assoli di chitarra prima e di tastiere poi costruiscono un'atmosfera di quieto abbandono, come un perdersi nello spazio privo di gravità... Gran lavoro percussivo di Ward anche nel finale che riprende i ritmi di apertura. Segue il fiabesco intermezzo "Spirit Of The Water": anche qui la voce riecheggia lontana e fatata, accompagnata dal solo pianoforte e da delicati contrappunti di flauto, costruendo un minuscolo mondo etereo e immensamente affascinante.

Il ritmo cambia decisamente con la bellicosa e potente "Another Night" che, aperta da riff sincopati di tastiere, si caratterizza in una sorta di vigorosa marcia retta dal basso e da un secco drumming marziale. Il ritornello per sola chitarra e voce placa però questo incedere maestoso; bellissimo l'intermezzo strumentale con la ritmica in evidenza e la chitarra inquietante in sottofondo. Ritroviamo ben poco della rilassata malinconia degli altri pezzi, ma comunque la canzone non sfigura affatto, e riesce a generare con semplicità estrema un senso di ineluttabilità e oppressione espresso anche dalle liriche notturne e risolto gloriosamente con un assolo di Hammond e poi di chitarra sullo sfumare. Sembra quasi una preparazione terrena e meccanica al balzo verso la Luna, compiuto con "Air Born", che si apre su di una melodia di flauto supportata dal piano; con l'ingresso degli altri strumenti ci si sente portati in alto, oltre le nubi, in un luogo senza confini dove la Terra sembra lontanissima. Bellissimi gli arpeggi di chitarra e i suoni spaziali del Moog nella sezione strumentale, epica e intensissima la conclusione che si colora di leggendario con il suono poderoso del sintetizzatore e del mellotron quasi a sottolineare la fine del viaggio.

Ecco distendersi dinnanzi a noi il paesaggio lunare. "Lunar Sea" trae ispirazione dai "mari" lunari, quelle immense depressioni assolutamente piatte che caratterizzano la superficie del nostro satellite, e nello specifico dal "Mare Ibrium", presso i due grandi crateri Aristillus e Autolycus. L'intro tastieristica ci pone innanzi all'argentea magnificenza di un'immensa pianura sotto lo spazio, poi la ritmica sale lentamente dalle profondità, e ci porta quasi in volo sulla superficie; perfetta l'intesa tra Ward e Ferguson. Quest'ultimo imbastisce un ritmo indimenticabile con un riff di basso semplicissimo  ma geniale, e sopra questo tessuto il grande Bardens ricama con note lunghe e distorte di Moog, evocando crateri, canyon e montagne di un mondo che non è il nostro mentre Latimer si limita alle rifiniture. Il brano si fa più muscoloso quando i quattro si lanciano in una stupenda improvvisazione jazzata dove Latimer sale in cattedra con la sua chitarra: tutto è perfettamente bilanciato, una musica figurativa eccezionale che prende forma con una leggerezza e semplicità. L'epocale viaggio ultraterreno si conclude con il ritorno a casa, la batteria svanisce lentamente e le tastiere riprendono il loro volo, ma questa volta la Luna si allontana sempre più, i suoi crateri diventano minuscoli occhi, e tutto si placa in un silenzio appagato dopo un rombo che svanisce.

Molti sostengono che il capolavoro dei Camel sia "Snow Goose", ma non nascondo il mio affetto particolare per questo stupendo album, tra l'altro il loro primo lavoro che ho ascoltato e che mi ha stregato per sempre. Ecco la voce della Luna ed ecco come questo grandissimo gruppo ha catturato magnificamente la sua magia che strega l'uomo sin dall'inizio dei tempi. Inutile insistere sul loro stile asciutto ma perfetto, sulla semplicità e sulla potenza evocativa delle loro melodie, sulla loro impeccabile maestria strumentale. Questa è musica che incide l'anima: "tu e la canzone rimarrete insieme per sempre".

Solo il rock progressivo poteva arrivare tanto in alto, e dischi come questo e come molti suoi coevi rendono superfluo e caotico (con pochissime eccezioni) ciò che la musica ha prodotto dopo il '77. Nessun timore o dubbio, lasciate che anche la pazzia lunare vi contagi; nulla sarà più come prima.

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