Tutto venne in un certo senso spazzato via in maniera repentina e inarrestabile. Il rock progressivo aveva incassato un bordata letale; sette anni dopo la loro esplosione, gli eroi dei primi anni Settanta venivano quasi visti come grotteschi fossili viventi, alcuni erano divenuti la caricature di loro stessi, come gli ELP, altri salutavano l'epoca per passare ad un'altra (Genesis) altri ancora reagivano, come i Camel, nel modo migliore che conoscevano: facendo musica.
Dopo il tour di 'Moonmadness', il bravo Doug Ferguson, deluso dalle scelte stilistiche intraprese, aveva lasciato, sostituito da Mr. Sinclair: ecco pronto anche il cantante di ruolo. La carovana progressiva ormai è molto meno nutrita, è solitaria, e cammina in un vero deserto, ma il nostro cammello tiene la rotta con la consueta semplicità e ottimi risultati, che in 'Rain Dances' si vedono già all'inizio con un abbagliante capolavoro: First Light è uno stupendo strumentale aperto da un riff da brivido di Bardens rivisitato poi da Latimer; ha un cuore più riflessivo e pulsante su note "ventose" di synth, ma una coda eccelsa e indimenticabile segnata dall'ingresso congiunto di chitarra e sax, suonato da un ospite illustre, Mel Collins, che folgora già al primo ascolto. E si capisce una cosa: i Camel hanno forse perso qualcosa del loro fascino fiabesco, ma si sono resi conto che d'ora in poi non sarà più concesso loro di sognare: non si dimenticano del loro passato, ma qui la musica è in un certo senso più terrena, e non per niente il disco ha una forte nervatura jazz, appena accennata nel suo predecessore. In Metrognome questa amalgama favolosa è ben in evidenza, con strofe cantante eteree e minimali che si dispiegano nel ritornello dominato da assoli di tastiere, creando un'atmosfera raccolta e crepuscolare di grande effetto coronata da una sezione strumentale molto più energica e dove il sax gigioneggia alla grande. Molto bello il finale epico con un Latimer autorevole e un basso poderoso. Tell Me è strutturalmente più semplice, posata su di un tappeto variegato di tastiere. La voce di Sinclair arriva come da lontano, portata da un leggero alito di vento; ci sono assoli rilassati di flauto e tastiere che sorreggono il pezzo nel suo galleggiare e anche nella conclusione.
Il ritmo riprende brillante con la bella Highways Of The Sun, cantata molto bene su tonalità più alte. Il buon basso scandisce un pezzo dall'atmosfera scanzonata e allegra, con brevi contrappunti gioiosi di tastiere e un inserto "spazialeggiante" di synth. Un brano che ricorda un po' lo stile dei Caravan, semplice ma accattivante anche nelle simpatiche armonie vocali. Altro capolavoro, Unevensong è più concitata, e si basa su tastiere ribattute, un basso "parlante" e una batteria che lavora di piatti. La voce è filtrata, la chitarra si ritaglia brevi assoli dopo le strofe cantate per poi aprire con note lunghe una fase strumentale con riff inquietanti di synth e preciso scandire ritmico. Il brano dimostra una grande perizia ed è arricchito da molti temi e influenze perfettamente armonizzate; bellissimo anche il sognante e freddo inciso vocale e il lavoro di chitarra sulla dissolvenza finale. Segue One Of These Days I'll Get An Early Night, un'improvvisazione molto jazz che presenta una vena ritmica abbastanza rilassata e molto scorrevole, e ottimi recitativi di sax e chitarra. Si snoda regolare tra assoli di fiati e tastiere cristalline.
La soffusa ed eterea Elke segue il dictat di un grande sperimentatore dell'elettronica, Brian Eno, musicista eclettico, produttore di gran fiuto e ideatore dell'ambient music. Il brano ha poche caratteristiche, prima fra le quali la costruzione di un'atmosfera lunare che da l'idea di una spazio infinito; le tastiere sono corpose e avvolgenti, lentissime, la ritmica è scomparsa e la sola parvenza di melodia è data da un disteso suono di flauto. Skylines è un altro brano molto jazzato e che tuttavia non raggiunge l'efficacia di One Of These Days: fiati assenti, buoni inserti di chitarra, qualche assolo sparso qua e là, sezione ritmica più che diligente; forse, contrariamente ai precedenti lavori e anche a The Snow Goose, a questo punto del disco la mancanza di cantato pesa un pochino. La title-track rappresenta una drammatica e intensa conclusione, sorretta da frasi orchestrali di archi suonati al synth da Bardens e coadiuvata dai fiati; molto bello l'arrangiamento delle tastiere che conducono il breve pezzo a un lento spegnersi.
Con questo disco i Camel dimostrano di essere sopravvissuti abbastanza agevolmente al terremoto storico in atto; buone le nuove idee coltivate, ottimi gli inserimenti di Collins (Mel) e Sinclair, col suo magico e inconfondibile timbro vocale, anche se dall'ex Caravan ci si poteva aspettare una prova più consistente alla voce, che comunque arriverà col successivo 'Breathless'. L'album a mio avviso non raggiunge gli enormi picchi del suo predecessore, ma è molto bello, dal tono un po' malinconico e autunnale (che traspare anche dalla copertina), ottimamente suonato come sempre e molto coinvolgente. Alcuni brani sono assolutamente memorabili (First Light, e Unevensong su tutti), ma anche gli altri si mantengono su di un livello eccelso, forse la sola Skylines perde un po' di grinta.
Come si sa il cammello è un animale molto resistente, capace di far fronte senza troppi problemi a condizioni vitali impossibili; la band tiene fede al suo nome, occupando con onore la propria nicchia, nascosta tra i tumulti musicali di quegli anni ma seguita con fedeltà da un nutrito gruppo di appassionati. Questo disco dimenticato è tra le loro prove migliori, e si colloca tra gli ultimi e definitivi ruggiti di un genere ormai in agonia. Nonostante tutto, e molti di noi li ringrazieranno in eterno per questo, i Camel continuano la loro avventura in un mare in tempesta, regalandoci come sempre piccoli capolavori di semplicità. E questo ci fa capire come certa musica non muore mai.
Carico i commenti... con calma